On the bookshelf – 22/11/63 – Stephen King

La prima volta che lo lessi, tre anni fa, lo considerai un buon libro. Non uno dei migliori di King, ma purtuttavia un buon libro. Di certo, a mio personalissimo gusto, il migliore che abbia scritto dopo il noto incidente automobilistico che quasi lo uccise e che segna, comunque la si voglia vedere, una sorta di spartiacque nella sua produzione letteraria.

Si ritorna a Derry, ma questa volta non c’è da sconfiggere il male mimetizzato sotto le spoglie di un malefico pagliaccio, o delle nostre paure, ma nientemeno che il tempo e la Storia. Quella con la S maiuscola.

Che chiedersi cosa sarebbe stato del mondo se JFK non fosse morto a Dallas il 22/11/63.

King mescola sapientemente storia (più correttamente, in realtà ucronìa, cioè fantastoria), amore, dramma. E’ un libro che coinvolge, a tratti profondamente.

Eppure per chi, come me, ha molto amato il King del passato lascia un senso di vaga estraneità. Non rispetto al plot, e nemmeno rispetto al mescolarsi continuo di realtà e fantasy, che sono marchi distintivi dell’autore.

Il senso di estraneità è proprio nel modo di narrare. Finchè non ho compreso che l’estraneità non veniva da King, ma dalla traduzione.

Intendiamoci, questa non è, e non intende essere nemmeno per sottesi, una critica al gruppo Wu Ming e a Wu Ming I (al secolo Roberto bui) che, in concreto, ne è il traduttore.

Per dirla in modo chiaro, sapessi io tradurre come traduce Wu Ming I mi bacerei i gomiti e ogni sera direi graziesignoregrazie.

Fatta questa premessa, necessaria, per me (e suppongo per molti) la traduzione italiana di King coincide con lo stile di Tullio Dobner. Stile che, ovvio, non è obbligatorio che piaccia, ma che ha marchiato quell’autore indelebilmente. Aggiungiamoci che Wu Ming I è una penna (ottima) di suo, il che significa che ha uno stile, proprio, che qua e là si sente.

La domanda in realtà andrebbe diretta all’editore. Affidare uno stesso autore a più traduttori è scelta comprensibile, logica, per certi versi condivisibile. A patto che ciò avvenga con regolarità. Ma se trenta libri dello stesso autore son tradotti dallo stesso traduttore, allora quest’ultimo diventa, giocoforza, la sua ‘penna’ italiana. E se io sono un lettore abituale di quello scrittore, me ne accorgo, da cui il senso di estraneità che avverto per l’interezza del libro.

Per cui, in chiusura, 22/11/63 è un libro bello, a tratti molto bello, certamente ben scritto, altrettanto certamente ben tradotto, ma pure un libro che sai di essere King ma non sembra totalmente di King, da cui il giudizio, forse, un po’ a metà.

Questo post, come d’uso, partecipa al venerdì del libro.

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20 pensieri su “On the bookshelf – 22/11/63 – Stephen King

  1. la riflessione sui traduttori è preziosa, per quanto il tradurre, se non sei uno dei pochi noti, credo sia uno dei lavori più impegnativi e meno considerati per il grande valore che ha.
    nonostante apprezzi parecchio i romanzi ucronici, di king, confesso, non ho mai letto nulla. vai a sapere perché, non son mai stato attratto. i libri son lì, sul pc. chissà che un giorno…

  2. Se io immagino che a te il mio venerdì piaccia, credo che anche tu ne abbia la certezza… Per me questo King invece è stato compunzione pura, un ritorno a Derry, in tutti i sensi. Ma l’ho letto in lingua originale e solo dopo ho guardato la traduzione che, tecnicamente parlando, è assai migliore di quelle di Dobner (ma io i miei capisaldi di King li ho letti tutti in lingua, dunque per me non strideva).
    Quello che secondo me si può dire, però, è che Wu Ming, che pure secondo me, ripeto, traduce assai meglio di Dobner in particolare e di moltissimi in Italia ora, ha quella che definirei una remora ideologica, su questo romanzo (sull’accusa a Oswald come colpevole unico, intendo). E questo secondo me sulla traduzione, insensibilmente, ha influito. L’ho recensito all’inizio del 2012, se ti va, qui: https://nemoinslumberland.wordpress.com/2012/01/13/221163-2/.
    E qui un dibattito interessante in casa Wu Ming: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=5856

    • Ho letto la tua recensione, che, ma già lo sai, condivido in toto, soprattutto sugli aspetti più meramente tecnico formali (che riesco a comprendere, ma son fuori dalla mia portata dovendone eventualmente scrivere). Troppo lungo, onestamente, King, per poterlo leggere in lingua. Riesco a reggere, ma su distanze ben più brevi, e con testi, sotto certi aspetti, più lineari.
      La remora ideologica, che pure qua e là si intravede, l’ho avvertita anch’io pur tuttavia, come te, credo che abbia influito minimamente. Come dico anche nel post, sapessi tradurre come Wu Ming, mi bacerei i gomiti, e son del tutto convinta anch’io che la traduzione, tecnicamente, sia migliore di quella di Dobner. Mi espongo fino a dire, che sia probabilmente più fedele al ‘vero’ stile di King. Il fatto, è altro. Ormai mentalizzati al tradurre di Dobner, si avverte un senso di estraneità, di cui non addosso colpa a Wu Ming, ma all’editore. Per me l’optimum è che un autore venga tradotto, al meglio, da sempre diverso traduttore. Ciò permette, al lettore, di non abituarsi troppo al modus del traduttore e di mantenere un rapporto diretto con l’autore. Cambiare traduttore dopo trenta opere, e su un romanzo complesso come questo, non mi è parsa una strategia azzeccata.

  3. Dobner è un traduttore infinitamente più bravo, preparato e di esperienza di Wu Ming1.
    Quella fatta con Wu Ming fu solo una mera operazione commerciare per fare
    pubblicità la a Bui e non mibsembra abbia avutp buon fine anche se Bui è stato sostituito da un altro traduttore/scrittore dell’agenzia di Roberto Santachiara.
    DOBNER È (il tempo verbale non è casuale) la voce di KING piaccia o meno a tutti questi esperti di traduzione letteraria che sentenziano sul web.

    • Dissento. Wu Ming, e Bui, dietro cui si cela Wu Ming I, è traduttore intelligente, preparato, che ha svolto un ottimo lavoro. Non ho, personalmente, gli strumenti per dire se sia traduttore migliore o peggiore di Dobner, che quella non è mia materia. Il fatto che dobner sia la voce di king in Italia è questione sulla quale invece coincidiamo. ma questo non ha alcuna correlazione con i valori in campo. E’ mera questione di abitudine.

  4. Come dico, un buon King, a tratti ottimo. Ho amato molto di più It e L’ombra dello scorpione, tuttavia. Se su questo abbia influito il fatto di averli in due epoche totalmente differenti della mia vita (a vent’anni non sei come a quaranta) non saprei davvero dirti, anche se, di pancia, direi che anche questa sia una variabile di discreto spessore.

    • ma va’? Io l’ho semplicemente adorato. Non forse come It, ma insomma. Tra l’altro credo sia anche un geniale trattato di sociologia. Proprio vero che nulla come i libri ed i film sono assolutamente soggettivi (a parte alcune invereconde porcate, che tali sono, restano e muoiono)

  5. Anche per me questo romanzo ha rappresentato il ritorno alla lettura di King dopo una lunga interruzione che risaliva al Miglio Verde; e mi è piaciuto davvero tantissimo, a parte, forse, il finale che non mi ha entusiasmato: ma forse, semplicemente, eraq un romanzo difficile da “finire”

  6. Pingback: Tre per ferragosto – IO ME E ME STESSA

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