Economics for dummies/7 Come non investire e vivere felici

Sarò politicamente scorretta. Se c’è una cosa che mi fa scendere le palle è il buonismo imperante.

Proviamo a comportarci da adulti (atteggiamento che fa inorridire la maggior parte dei politici nostrani). E cominciamo col dire, fin da principio, che non esiste una ragione al mondo per cui il Governo, lo Stato o Bankitalia debba provvedere al rimborso delle obbligazioni emesse da Banca Etruria.

Lo Stato, in sé, non ha obbligo alcuno nei confronti delle Banche in senso assoluto (che poi, nei fatti, in qualche modo intervenga nelle questioni che si presentano rientra in quel concetto di pace sociale che è pilastro portante di ogni democrazia).

Chi ha degli obblighi, ben definiti e normati, è Bankitalia, che è tenuta a tutelare i correntisti (e ribadisco solo i titolari di conti correnti). E pure la tutela dei conti correnti è a concorrenza. A concorrenza implica che Bankitalia è tenuta a tutelare i correntisti sino a 100.000 Euro per depositante e per Banca. Pertanto, se siete i fortunati possessori di somme che superano i 100.000 Euro, oltre a complimentarmi con voi, vi suggerisco, ma caldamente proprio, di suddividere i vostri averi in conti correnti di importo non superiore a Euro 100.000 e di aprirli in banche differenti. Se vi diranno che così ‘prenderete meno interessi’ è vero. E’ vero anche che quello 0.5% in meno che guadagnerete va a garanzia di non perdere il capitale. A questo punto, se scegliete diversamente, son cazzi vostri e non piangete.

Poi esistono prodotti finanziari diversi che vengono venduti dalle banche e che possono essere prodotti delle banche stesse o prodotti di terzi (per esempio aziende quotate in Borsa).

In genere i prodotti finanziari in vendita sono di tre tipologie:

BOT e BTP emessi dal Tesoro. Essendo emessi dal Tesoro sono titoli di Stato. Ciò non inganni. Con l’istituzione del fondo salva-stati nel 2013, è caduto l’obbligo per il singolo stato di garantire i titoli. Quindi se lo Stato fallisce sono, nuovamente, cazzi vostri. Detto ciò sono comunque i meno rischiosi poiché l’eventualità di un fallimento, comprando titoli di Paesi della UE, è piuttosto ridotta. Prova ne sia che i tassi di interesse sull’investimento sono risibili. Resta comunque da vedere se il tasso d’interesse valga il rischio che pure continua ad essere esistente.

Fuori dal circuito dei titoli di stato esistono due possizibili opzioni, azioni e obbligazioni.

Sono tipologie di investimenti differenti: con l’acquisto di azioni si diventa titolari di quote che rappresentano parti del capitale sociale e si partecipa così sia agli utili che alle perdite della società. Attenzione anche alle perdite.

Con l’acquisto di un’obbligazione, invece, si presta del capitale ad una società, e per un periodo di tempo determinato, in questo periodo vengono percepiti degli interessi.

Messa così le obbligazioni hanno, è evidente, un profilo di rischio inferiore rispetto alle azioni.

Il problema è che non è esattamente così, perchè di obbligazioni ce ne sono diverse tipologie, con profili di rischio più o meno elevati.

Le obbligazioni emesse da Banca Etruria avevano un profilo di rischio elevatissimo, perchè per la loro stessa natura di obbligazioni subordinate sono una particolare categoria, il cui rimborso in caso di fallimento è, per l’appunto, subordinato a quello dei creditori ordinari (privilegiati e chirografari).

Pertanto hanno una natura che le accomuna più alle azioni che alle obbligazioni poiché chi le acquista partecipa a tutti gli effetti al rischio d’impresa.

Stante che in caso di procedura fallimentare il portatore viene soddisfatto per ultimo, la probabilità di perdere il 100% del capitale investito è elevatissima.

E’ una situazione, questa, non diversa da quelle Cirio, Parmalat, Telecom, solo per citare alcuni casi. E anche lì, mica il Governo è andato in soccorso dei risparmiatori gabbati.

Altro punto: sui prospetti, lo assicuro, le condizioni sono scritte. Che poi siano scritte presumendo una certa competenza da parte del firmatario è altra questione.

E che esista una percentuale di dolo, anche elevata, da parte di banche e funzionari, è senz’altro un dato di fatto.

Ma se una persona che abbia vissuto in italia o in Europa dal 2008 a oggi mi dice che si fida delle banche, con tutto il rispetto, ci sta mettendo del suo.

L’opzione più probabile, è che, di fronte al consulente bancario, ai risparmiatori sia stato prospettato un ottimo guadagno generato dagli interessi (veritiero). Per fare un esempio un’obbligazione subordinata ha un rendimento (lordo) del 2,9%, un BTP decennale del 1,5%, un obbligazione ‘senior debt’ (che rientra tra i crediti privilegiati e viene quindi pagata) all’1%.

Certo i dolosi funzionari (e sono delle merde, diciamolo pure) avranno elargito consigli dicendo che queste opzioni sono più tranquille ma meno redditizie, mentre le altre solo ‘un po’ più rischiose’ hanno un rendimento decisamente più soddisfacente.

Però, cazzo, il funzionario non è tuo figlio, e tu una mezza domanda davanti al fatto che un’obbligazione rende più del doppio di un’altra dovresti fartela.

Perchè la fa facile, Salvini, a sfruttare la rabbia popolare ma la realtà è che oggi il risparmiatore ha davanti a sé una giungla di opzioni, e nella giungla, si sa, o ti salvi da solo o soccombi.

E investire, ricordiamolo, non è né un obbligo di legge, né un adempimento indispensabile. E’ una scelta. E di fronte ad una scelta, si può anche dire di no ed alzarsi dal tavolo.

E sì, si può anche non investire e vivere felici.

 

Economics for dummies/6

Sì, lo so, è lunedì. Ma oggi il lunedì film cede il passo a economics for dummies, che la politica italiana è meglio di un film, e l’attitudine di tirare per la giacchetta incolpevoli economisti è una sceneggiatura già troppe volte vista.

Intanto una constatazione. Io capisco che un telegiornale dura una trentina di minuti, e non ci si può dilungare troppo, ma certe spiegazioni prenderebbero, si e no, dieci secondi, e renderebbero il quadro più chiaro a molti senza bisogno di troppe chiavi di lettura. L’assenza di queste spiegazioni, personalmente, la vivo come un generare confusione in maniera fraudolenta.

Fraudolenza o meno, la qualità dell’informazione economica che viene veicolata nel corso di un telegiornale è di livello talmente basso da rasentare l’imbarazzante. Se siete seguaci della Signora in giallo o di Law & Order, seguite pure il vostro telefilm preferito senza residui sensi di colpa. State perdendo molto, molto poco.

Nell’ultimo fine settimana almeno due economisti (veri) sono stati tirati gettati nell’agone dai 5 stelle e dai transfughi della sinistra PD.

Uno, Keynes, è morto e non ci può far nulla, l’altro, Stiglitz, quello vivo, non escluderei possa esprimere le sue rimostranze (d’altronde già lo fece con Fratelli d’Italia e il Front National quando tentarono un’operazione analoga a quella dei pentastellati).

Più che altro, nel grande bar sport che è la politica italiana, i riferimenti a Stiglitz e Keynes paiono più un riempirsi la bocca e un crearsi referenti economici che un ragionamento politico-economico espresso in modo coerente.

Keynes era un sostenitore dell’intervento dello Stato nell’economia. Il resto, moltiplicatore keynesiano, curve IS-LM, propensione marginale al consumo, domanda aggregata, sono tutte, permettetemi, pippe adatte agli addetti ai lavori. E un modo per evitare che l’opinione pubblica si formi un giudizio.

La teoria keynesiana garantisce la piena occupazione. E’ ovvio, ma diciamolo, che lasciare libertà di spesa allo stato, per occupare pienamente la forza lavoro, significa drogare l’economia indipendentemente dalla domanda.

Adesso proviamo un esercizio, leggete ad alta voce le righe a seguire e cronometratevi:

Keynes è un sostenitore dell’intervento dello Stato nell’economia. La teoria keynesiana garantisce la piena occupazione. Se si lascia libertà di spesa allo stato, per occupare pienamente la forza lavoro sarà sufficiente drogare l’economia indipendentemente dalla domanda, in questo modo tutti lavoreranno ed avranno un reddito. Questo ovviamente aumenterà il debito pubblico.

Io mi sono cronometrata: 14 secondi. E sono ragionevolmente più lenta di uno speaker professionista. L’informazione di cui sopra è del tutto neutra, illustra, né più né meno, il pensiero di Keynes. Senza giudizi di valore. Possiamo dire che un’informazione del genere è più completa di ‘i transfughi del PD vogliono un approccio economico fondato sulla teoria keynesiana’? Possiamo ammettere che per una parte degli ascoltatori la teoria keynesiana è un enorme buco nero?

Perchè ammettiamolo, è giusto che un telegiornale non dia giudizi.

I giudizi, allora, diamoli qui. Keynes era un teorico. Ed anche un grandissimo economista. La teoria keynesiana portò gli Stati Uniti e il mondo fuori dalla crisi del ’29. Fin qui tutto vero.

Ma durante la seconda crisi economica, quella degli anni ’70, l’applicazione delle teorie keynesiane aggravò la crisi. Perché? Perché erano cambiate le condizioni di partenza. C’era un cartello che governava il prezzo delle materie prime (in primis il petrolio). Come da manuale, governi incrementarono come sempre la spesa pubblica per uscire dalla crisi. Teoria keynesiana appunto. Partendo dall’assunto che, se aveva sortito effetti una volta, li avrebbe sortiti sempre.

Peccato che, variate le condizioni di fondo, l’unico risultato fu un incremento dell’inflazione e nessuna crescita del PIL. Quel grazioso fenomeno che prenderà nome di stagflazione (stagnazione+inflazione).

E comunque, anche quando funziona, il sistema keynesiano, genera un debito che prima o poi pagheranno le generazioni future. Praticamente la fotografia dell’economia italiana (e non solo) oggi.

Quindi Fassina e gli altri facessero il favore santo, la piantassero di riempirsi la bocca di nomi altisonanti per tirare su quattro voti in croce. Per fare le scarpe a Renzi, dovrebbero solo mettersi a lavorare. Seriamente.Evidenziando le (molte) pochezze del Premier ed i parecchi inciampi che ha sin qui collezionato. E lasciassero in pace Keynes.

Stiglitz, invece, porello, è diventato il nuovo vate dei Cinque Stelle. Intanto, caso mai, qualcuno l’avvisasse della fine che han fatto tutti quelli che l’han preceduto, Rodotà in testa. Che lì, se non sei d’accordo col capo, finisci al muro (e alla gogna mediatica) tempo zero.

In realtà, Stiglitz l’hanno cooptato perchè con Occupy Wall Street, la sua fuoriuscita dalla Banca Mondiale e i suoi interventi ‘contro’ è assurto a campione di certo antagonismo.

Quel che nessuno dice, però, é che Stiglitz non ha mai fornito alcuna ricetta per uscire dalla crisi. Intanto perchè non è il mestiere suo. Stiglitz è un grande microeconomista. E infatti il Nobel, nel 2002, l’ha vinto, in condivisione, per il suo contributo alle asimmetrie informative. La distinzione tra micro e macro-economia non è capziosa come i grillini vogliono far intendere. Un saltatore in lungo e un saltatore in alto fanno entrambi atletica nella categoria salto, ma nessuno si sognerebbe mai di considerarli intercambiabili.

Il vero dato di fatto, e in questo Stiglitz è profondamente pentastellato, é che il suo approccio macroeconomico è sempre stato demolitorio e critico. Questo non funziona, quell’altro non funziona. Eh, complimenti vivissimi. Lo potevamo dire gratis anche noi. Ma una ricetta anticrisi? Ecco, sulle ricette è sempre stato molto più cauto. Perchè non ne ha sostanzialmente. E anche le sue posizioni no-Euro sono molto più sfumate di quanto venga normalmente propagandato. E’ critico, certo, ma non ha mai parlato di fine dell’Euro a differenza di altri. Probabilmente perchè sa di trovarsi di fronte ad un processo irreversibile. Ed è per quello che, non essendo uno sciocco si è sfilato rapidamente dall’abbraccio mortale di Fratelli d’Italia e del Front National.

Questo non significa che stiglitz non dica cose assolutamente condivisibili. Quando critica il FMI ed le istituzioni finanziarie mondiali afferma cose largamente condivisibili, sia nel merito che nell’analisi. Ma basare le proprie convinzioni macroeconomiche su Stiglitz ha un vizio di fondo. L’assenza di una teoria macreconomica che da Stiglitz derivi. E questo è un vizio senza uscita.

La politica italiana dovrebbe smetterla di produrre fumo negli occhi, e i mezzi di informazione di propagandare questo fumo come se fosse Verbo. La realtà, molto più misera, é che questa crisi ha messo in ginocchio tutto senza eccezioni perché ad oggi nessuno ha ancora intercettato la Variabile, quella con la V maiuscola, quella che, unica, rappresenta la chiave di volta del problema.

Economics for dummies/5

L’ho letta tutta, la bozza d’accordo greca. Almeno le parti che sono state pubblicate. L’ho letta più volte. Mai fidarsi dei commenti tirati via di giornali e tv. Mai come in questa occasione, stanno cavalcando l’onda dell’emotività. Senza leggere tra le righe. Che leggere tra le righe, sia detto per inciso, è roba che costa. Tempo e fatica, per dirne due.

Tra la prima e la seconda bozza è passato un referendum e il blocco dei prelievi bancari. Tra la prima e la seconda bozza non passa tutta questa differenza.

Sulla puntata precedente nei commenti, è stato fatto notare che questa non è l’idea che avevamo d’Europa.

Gaberricci, a casa discutibili ne parla in maniera anche più estesa. E dicendo cose (anche) condivisibili, soprattutto per quel che concerne lo spirito europeo. Ma per testare la pochezza di spirito europeo, non serviva la Grecia. Bastano anche i migranti a Lampedusa. L’Europa non è un luogo di persone ma di regole ed accordi. Può piacere o non piacere, se non piace, conviene accomodarsi altrove. Non si intravedono grandi cambiamenti nel breve termine.

Ambo le parti hanno tirato dalla loro la coperta. Corta. Ne è discesa una sostanziale disinformazione che non ha fatto il bene di nessuno. Non dei greci che hanno dovuto subire una delle peggiori cazzate politiche della storia, non del resto d’Europa che questa vicenda poteva gestire infinite volte meglio.

E’ giusto far vedere la fatica quotidiana dei greci. Ma sarebbe giusto, anche, dare un’informazione economica equidistante, corretta e spiegata con semplicità. Facile? Difficile? Né l’uno né l’altro. E comunque un giornalista economico dovrebbe saperlo fare. Se non lo sa fare, o non lo sa fare sta facendo un lavoro inadatto alle sue capacità. Oppure sta servendo qualcuno. In ogni caso, non è una bella cosa.

Si parla a gran voce di ristrutturazione del debito greco. Tradotto: di riduzione dello stesso. Il FMI (che vuole recuperare il prima possibile i suoi soldi) ritiene che il debito greco non sia sostenibile e come tale vada ridotto. La Germania (miiii come son cattivi ‘sti tedeschi) sostiene invece che la Grecia sta già godendo di un sostanziale condono. E quindi niente riduzioni ulteriori.

Ciò che dice il FMI è vero, se parliamo della restituzione del capitale. Ma tralascia il fatto che nessuno pensa seriamente che quel debito verrà mai estinto. Qui si parla, di restituzione degli interessi.

Gli oneri da interesse della Grecia erano al 7.5% del PIL nel 2011 (al primo tracollo) sono stati portati al 4% nel 2014. Prima dell’uragano Tsipras erano al 2.2%. Quello dell’Italia (ma anche di Paesi più solidi di noi come il Belgio) viaggia intorno al 5%.

In sostanza, su un debito inferiore corrispondiamo interessi superiori. E questo è un fatto.

Inoltre, la Grecia superato l’annus horribilis del 2015 (con la restituzione di 25 miliardi) non ha ulteriori grandi scogli. Comincerà a rimborsare i Paesi europei dal 2020 e il fondo salvataggi dal 2022, con una dilazione fino al 2055.

La chiusura delle banche, i prelievi da 60 Euro (e i pensionati in lacrime) sono causati certamente dalla situazione contingente (e quindi dalla rigidità oggettivamente eccessiva dell’Europa) ma anche dalla superficialità di Tsipras e Varoufakis.

Non lo dice la Merkel (che è tedesca e in quanto tale cattiva) ma Kouvelakis. Un dirigente di Syriza, non il fratello di Schauble. Quando si comincia ad ipotizzare il referendum, Lafazanis, uno dei più fieri oppositori della trojka approva, ma avanza il sospetto che la BCE taglierà la residua liquidità alle banche greche. Tutti ridono. In realtà il 27 giugno la BCE bloccherà la liquidità d’emergenza alle Bancher greche perchè in caso di referendum sull’adesione alla comunità, esiste una norma che blocca in automatico l’erogazione di ulteriore liquidità. Si può anche essere sprezzanti, ma la disinformazione a certi livelli diventa dilettantismo.

Un episodio riferito da Stathis Kouvelakis, un dirigente di Syriza, è illuminante riguardo al clima che ha portato alla chiusura delle banche. Il 26 giugno Tsipras raccoglie i fedelissimi per decidere sul referendum contro l’accordo europeo. Kouvelakis è lì. Panagiotis Lafazanis, il leader dei «duri», approva il referendum, ma prevede che l’Europa avrebbe reagito tagliando la liquidità alle banche. Tutti nella stanza scoppiano a ridere. I fatti sarebbero andati diversamente. La Bce ha sì bloccato il 27 giugno la liquidità di emergenza per le banche greche, non per ritorsione ma perché vincolata dalla legge. Eppure quella risata rivela come Tsipras e i suoi non avessero colto la fragilità della situazione.

Altra cosa non del tutto vera è il fatto che i miliardi di Euro fluiti dai pacchetti di aiuti siano finiti nelle tasche delle banche estere. Ciò è assolutamente vero. Le banche europee si sono risanate depurandosi dei titoli spazzatura greci. e meno male aggiungerei, se no l’effetto contagio era assicurato e non sarebbe rimasto in piedi nessuno dei paesi dell’area Euro.

E’ vero però anche che i Greci avevano investito in abbondanza sui titoli di stato del loro Paese. Quindi senza aiuti i loro risparmi sarebbe finiti direttamente nello scarico. Che non era, comunque, un’ipotesi preferibile.

L’austerity avrebbe distrutto l’economia greca. Senz’altro. poi Tispras e varoufakis ci hanno messo su il carico da 90.

La Grecia aveva ripreso a crescere e stava arrivando (a gennaio) ad un aumento del 3% circa del PIL. L’ascesa era iniziata già nel terzo trimestre del 2014, in ragione di una buona stagione turistica che aveva tutte le caratteristiche per essere anche migliore nel 2015 (con la caduta libera causa IS di altre destinazioni low cost quali Sharm e l’Egitto, la Tunisia e il Marocco).

Cos’è successo? Il governo Tsipras ha congelato i pagamenti alle imprese per portare avanti il negoziato senza nuovi prestiti. Ora. Io non so Varoufakis come la pensi, ma non occorre essere dei fini economisti per capire che se lo stato smette in toto di pagare le aziende creditrici sue proprie, le stesse o falliranno, o, nella migliore delle ipotesi non erogheranno stipendi (deprimendo i consumi) e non pagheranno i contributi previdenziali (mandando ancora più in rosso la già agonizzante previdenza sociale).

Il risultato è stata la paralisi dei consumi e degli investimenti. E il crollo del PIL. Senza contare che anche se un investitore estero avesse una pur minima idea di investire in Grecia se ne terrebbe accuratamente alla larga.

Se la Grecia dovesse uscire dall’Euro i soldi investiti varrebbero, più o meno, come la carta igienica. Non si può parlare di uscita dall’Euro un giorno sì e uno no. O si esce (con un colpo secco, come quando si leva un cerotto) o si sta dentro. A tentennare se ne esce sempre indeboliti.

La riforma delle pensioni era uno strumento indispensabile. Posto che lo Stato ripianava mediamente, ogni anno, 18 miliardi di Euro. Ed era l’unica soluzione affinché gli assegni venissero pagati.

Prima della crisi, le pensioni greche somigliavano a quelle italiane di trent’anni fa. Calcolate in base agli ultimi cinque anni di stipendio, come nel vecchio sistema italiano “retributivo”, quello riformato nel 1995 (20 anni fa) da Dini che introdusse il “contributivo”.
In media i pensionati greci intascavano il 96% dell’ultimo stipendio (oggi, la metà).
Potevano ritirarsi dal lavoro dopo 37 anni di contributi o a 57 anni, Ma se facevano lavori usuranti, bastavano 53 anni di età.  Il problema è che le professioni usuranti erano 580 (praticamente tutte) e includevano parrucchieri, hostess dell’Olympia, speaker televisivi e radiofonici, suonatori di strumenti a fiato…

Il problema è che i pensionati greci sono poveri. Dopo le riforme del 2010 e del 2012 che hanno tagliato bonus come le tredicesime e gli assegni anche del 40%, la pensione media è di 700 euro con un 45% di pensionati che vive sotto la soglia di povertà, incassando 600 euro al mese.Il problema dei pensionati greci è che sono, banalmente, troppi. Gli ultra 65enni sono un quinto della popolazione greca. Con un’aspettativa di vita di 80 anni. Le pensioni incidono oggi il 13.5% del PIL greco. Col vecchio sistema pensionistico nel 2050 le proiezioni mostravano una spesa pensionistica pari al 25% del PIL.Le prime riforme hanno insistito più sul taglio degli assegni pensionistici che su un’effettiva applicazione dell’aumento dell’età pensionabile.Il risultato di queste riforme è stato rivelato a dicembre scorso dal governo Samaras al Parlamento greco: tre quarti dei greci riesce ancora a lasciare il lavoro grazie alle “scappatoie legali” prima dei 61 anni. Il ministro del Lavoro, Yiannis Vroutsis, rivelò che nel settore pubblico, il 7.91% si ritira tra 26 e 50 anni, un altro 23.64% tra 51 e 55, e il 43.53% tra 56 e 61.

L’Ika (per semplificare l’INPS greca) nasconde dati altrettanto preoccupanti, il 4.44% dei pensionati del settore privato si ritira dal lavoro tra 26 e 50 anni, il 12.83% prima dei 55, e il 58.61% tra 56 e 61.
Il vero punto nodale della crisi greca è l’assoluta assenza di lealtà tra le parti. E questo vale in senso bilaterale. I greci hanno sempre fatto riforme di superficie, aggirandole poi anche scopertamente. L’Unione Europea ha alzato il livello dello scontro imponendo misure che hanno anche un senso, economicamente parlando, ma che tengono conto dei soli numeri.
L’economia, se non viene stemperata dalla sociologia, è una scienza inutile, un esercizio di stile. Anche interessante (per gli appassionati) ma privo di applicabilità. La Repubblica di Platone ha un suo senso, finchè la si studia come un esercizio di stile. Ma se la applichi ti ritrovi a marciare al passo dell’oca sotto la porta di Brandeburgo.
Non si può mandare all’inferno 11 milioni di persone, solo perchè governati da un gruppo di intellettuali supponenti e molto approssimativi. Pure, non si può concedere a 11 milioni di persone di fare quel cazzo che gli pare mentre altri sono assoggettati ad una serie di regole. Perchè anche quella, se ci guardate bene è equità.
Il problema non è un punto d’IVA, lo sa Tsipras, lo sa Schauble, e pure la Merkel. Il punto è capire se la Grecia è parte o no dell’Unione europea. Se lo è (e lo è) va accompagnata in un percorso di riforme serie, condivisibili, ed applicabili. Stanziato che quelle riforme sono applicabili, vanno applicate, senza sconti.
Non si può affamare una nazione, e neppure umiliarla. Questo ce lo ha insegnato la storia. Ma non si può neppure farsi dominare, sempre, dalle emozioni, che il Romanticismo, quello sì, ci ha rovinati, noi italiani.
Perchè, per fare esempi pratici, se permetto a un greco di andare in pensioni prima dei 61 anni, nonostante lo stato dell’IKA, poi non posso lamentarmi se l’esodato che se l’è presa in quel posto con la Fornero vota Grillo o Salvini. Non è becero. E’ incazzato. Anche abbastanza legittimamente.
Perchè posso (e devo) commuovermi per i pensionati greci, ma non posso dimenticare che un pensionato su due in Italia prende meno di 1000 euro al mese (con un costo della vita ben superiore a quello greco), e il 14% ha un assegno di 500 Euro.
Perché se no, anche qui, non posso continuamente discutere se siano beceri, razzisti, o se ce l’hanno con l’immigrato. Perchè sono incazzati. Legittimamente. Il resto, è rba da talk show, da anime belle e da ecumenisti. E questo vale in Italia, ma anche in Spagna e in UK e in Francia. Ma siete davvero convinti che Podemos, piuttosto che Farage, o la Le Pen siano solo il prodotto di un fascismo strisciante, brutto, sporco e cattivo? Sono ANCHE quello. Ma sono soprattutto l’espressione di un diffuo senso di ingiustizia che sta percorrendo tutta l’Europa.
E ricondurre il discorso al solo disagio greco, nasconde il senso, amplissimo, di questa deriva.

Economics for dummies/4

Se la Grecia uscirà o meno dall’Euro, con tutto quel che ne consegue, lo scopriremo alla fine di questa settimana.

Detto ciò, ed indipendentemente da quel che accadrà quando scorreranno i titoli di cosa, alcune considerazioni sono d’obbligo.

Anzitutto, la Grecia dall’indipendenza (1830) ad oggi è andata in default 7 volte. Troppe, per essere un caso. In realtà è il risultato di comportamenti reiterati nel tempo e mai modificato, oltre che di debolezze strutturali del sistema Paese.

La Grecia è uno dei Paesi più corrotti d’Europa, per certo il più corrotto di quello che era un tempo il ‘blocco occidentale’, e mi riferisco solo ed esclusivamente della pubblica amministrazione. Anche nel privato la corruzione è regola. E non per sentito dire. Chiunque si occupi di export, piuttosto che occuparsi del mercato greco si farebbe volentieri investire da un TIR tale è il fetore (e nonostante il nostro essere italiani, peraltro).

Il 60% della popolazione attiva è impiegata nella pubblica amministrazione, che, di fatto, è l’unica entità produttiva dello Stato. Non occorre essere fini economisti per comprendere quanto questo incida sulla competitività del Paese.

Il comparto produttivo propriamente detto è insignificante, e si riduce sostanzialmente ai notissimi armatori che lo Stato ellenico da sempre coccola senza che questo porti alcun beneficio. Le tasse, quelle poche che pagano, le pagano all’estero, dove, con l’aiuto di valentissimi consulenti esportano i loro ingenti capitali. Del tutto legalmente, ça va sans dire.

Non che l’Europa sia stata inappuntabile nella vicenda. Perchè resta da capire con che criterio sia stato permesso alla Grecia di allargare la propria base debitoria sino ai livelli attuali. Fermo restando che quello è un Paese che avrebbe dovuto uscire dall’Euro molto prima e, peraltro, neppure entrarci.

Se il farlo entrare faceva parte di una valutazione politico/economica che valicava i (ristretti) margini di manovra dei trattati, ha poco senso lamentarsene ora. Anche se si può affermare con sufficiente convinzione che senza la devastante crisi economica (globale) di questi ultimi otto anni, il problema Grecia sarebbe rimasto ben occultato sotto il tappeto ancora per molto tempo.

Ma l’Europa, è, poi, così iniqua?

Tsipras propone

– una tassa del 12% per quelle imprese che realizzano utili superiori ai 500.000 euro l’anno. Cioè gli armatori di cui sopra che pagano (pur legalmente) le tasse all’estero. Possiamo ridere, ridiamo.

– di aumentare la corporate tax dal 26 al 29% per quelle imprese che realizzano utili in Grecia. A parte che vale per pagare tasse sugli utili occorre produrli (gli utili) vale la pena menzionare che in Italia la pressione fiscale sugli utili di impresa è al 65,8% (con la Francia al 64,7 e la Spagna al 58,6). e comunque ribadisco, in un sistema produttivo come quello greco è una misura inutile indipentemente dall’aliquota.

– di mantenere gli sconti sull’IVA nelle Isole (sull’aliquota del 23% uno sconto del 30%). Peccato che la maggior parte degli scambi ivati li generi il turismo, fenomeno prettamente isolano.

– Si rende disponibile a rivedere l’età pensionabile, elevandolo a 67 anni a partire dal 2022 (inzialmente dal 2025) e a 62 per chi ha 40 anni di contributi. In Italia uomini e donne andranno in pensione (nel privato) a 66 anni e 7 mesi già dal 2018, e potranno chiedere l’anticipo laddove abbiano maturato 42 anni di contribuzione. Questo tipo di impostazione è peraltro condivisa dalla maggior parte dei Paesi europei. Non è un abuso nei confronti del popolo greco, ma un mero dato di fatto che accomuna i greci agli italiani, agli spagnoli, ai tedeschi ed agli olandesi (per dirne alcuni). I danesi, peraltro, se la passano peggio e gli tocca lavorare un anno di più.

Soprattutto rifiuta:

– i tagli alla difesa (ne accetta per 200 mln e non per i prescritti 40 milioni)

– ma soprattutto (sembra una fesseria, ma è altamente significativo)  accetta di di riformare le regole per le licenze per gli investitori, ma non di farlo sotto la supervisione della Banca Mondiale. E qui torniamo, se volete, alla piaga della corruzione. Chi controlla il controllore? Nessuno. E perchè tanta acrimonia nei confronti del controllore? Ah, saperlo.

Confondere la situazione greca con quella italiana è un errore. La posizione italiana nasce più sfumata, e si origina, soprattutto, dalla cronica incapacità di riformarsi che ci affligge da sempre che non dalla sua incapacità di onorare le scadenze. Paradossalmente, pur nelle molte difficoltà, siamo stati gli unici, tra i Paesi a rischio, a non attingere a fondi di emergenza, e a continuare a pagare le nostre quote come da accordi. E pure a rimborsare le quote di interessi sul debito pubblico. certo non ce l’avremmo fatta senza la BCE, potrebbe sostenere qualcuno. Ma d’altronde la BCE, quando giocò pesante col nostro spread per levarsi Silvio B. dai coglioni, si riprese tutto e pure con gli interessi.

Il lavoro sporco della trojka in Italia lo fece Monti con l’avallo di Napolitano. Una trojka travestita, perchè l’Italia ha troppo peso per poterla commissariare come una Grecia.

Il nostro vero limite, in ogni caso, è l’esserci dotati (ed è colpa nostra, non solo loro) di una classe politica tanto imbecille quanto corrotta.

In questo, però, i Greci sono stati assai ben più fessi di noi, e dopo essersi affidati per anni alla famiglia Papandreu (gente che ai nostri corrotti faceva una pippa, per dire) si è fatta prendere per il culo dalle idee, dalla bella presenza, dallo stile giovane e dai proclami di Tsipras e Varoufakis. Che non si capisce se sono imbecilli, criminali o ambo le cose.

Hanno condotto la trattativa che peggio non si poteva.

Durante la trattativa non hanno mai dato la sensazione di lavorare per un accordo, animati dalla (falsa) convinzione che l’Europa fosse terrorizzata dal Grexit. E qui hanno dimostrato la loro pochezza. L’Europa era terrorizzata dall’uscita della Grecia dall’Euro nel 2012. Mentre la crisi picchiava duro. Mentre Italia e Spagna traballavano pesantemente. Soprattutto mentre non esistevano ancora strategie di uscita.

Ma ora? Ora la BCE ha preso le sue contromisure. Il crollo dell’Euro ha dato nuova spinta all’export. L’economia in Spagna ed in Italia si è riavviata (per quanto stentatamente), ma soprattutto sono stati iniettati nelle banche quattrini sufficienti ad evitare il rischio contagio.

Li ricordate tutti quei fondi che venivano iniettati nelle banche per far ripartire il credito alle imprese? E che invece alle imprese non sono mai arrivati? Ecco, il sosetto che quei fondi servissero a depurare le banche dai titoli tossici del debito greco e a preparare l’uscita dei Greci dall’euro è fortissimo.

E ora, l’ineffabile duo, Tsipras e Varoufakis, che ha giocato la propria partita sulla pelle dei Greci ha spostato la responsabilità della scelta sui greci stessi, in nome di un’idea di democrazia che non condivido e così riassumibile. ‘Tu mi hai delegato a trattare. Io non sono riuscito a portare a termine la trattativa. Ora decidi tu, popolo’ Che sarebbe anche un formato interessante di partecipazione diretta se:

a. tu non mi facessi decidere in un termine brevissimo, mentre i bancomat mi erogano 60 Euro al giorno, e il Paese si muove in uno spazio sospeso tra limbo e panico.

b. la coerenza sia una bella cosa, ma non necessariamente un valore. Quando guidi un Paese anche la capacità di correggere in corsa il tiro ha una valenza. Soprattutto se sei in grado di argomentare a chi ti ha votato la ragione

c. un governo lo si elegge per assumersi delle responsabilità, fare il referendum era un’idea lodevole, ma tre mesi fa. Che a febbraio, si era già capito l’andazzo.

Si aggiunga che, in questi mesi, mai hanno dato l’idea di cercare un rilancio della Grecia, ma solo di ambire a nuovi fondi per tirare a campare. Peraltro con un piglio da bulletti poco adatto alle circostanze.

Come finirà lo diranno le cronache e lo racconteranno un giorno i libri di storia. A noi non resta, in questi giorni d’estate che assistere sconfortati alla sconfitta dell’ideale europeo in senso più ampio. Un’ideale europeo, però, che è stato tradito da tutti, dall’Eurogruppo e dalla BCE, ossessionati dai bilanci e dimentichi delle persone. E dalla Grecia, che mai come in questi giorni è parsa interessata solo a prendere e mai a dare.

Aggiungo solo che le richieste finali dell’eurogruppo, quelle commentate sopra non sono né crudeli né inique ma sono applicate dalla maggior parte dei Paesi europei inclusi quelli dell’ex-blocco dell’est. Smettiamola quindi con la litania dei tedeschi cattivi. Che loro, le loro riforme, se le sono fatte da soli ed obtorto collo dieci anni fa per pagare i costi della riunificazione. E qualche risultato, quelle riforme, lo hanno apportato.

Economics for dummies/3

Cito, alla lettera, una parte dell’intervento di Renzi a Bruxelles: ‘Non accettiamo lezioni di morale da nessuno: è vero che l’Italia ha un debito molto alto, ma è anche vero che ha una ricchezza privata quattro volte superiore’.

E’ una affermazione, probabilmente (per dire certamente vorrei avere almeno i dati alla mano) veritiera.

Lasciamo perdere i soliti commenti populisti e un po’ del cazzo, del tipo quelli son soldi nostri, lo Stato vorrà mica pure quelli.

Lo Stato, quel debito, l’ha fatto per foraggiare comportamente illeciti, penalmente o anche solo  eticamente, perpetrati da amplissime aree della popolazione, non da sacche ridotte di politici e boiardi di Stato, e finchè non vi sarà una presa di coscienza di ciò, questo Stato non ha speranze

Il nostro debito pubblico ha una radice antica che affonda nella nostra atavica capacità di pensare che lo Stato ci debba tutto, mentre noi non gli dobbiamo niente.

Questa ricchezza privata è figlia di decenni di tasse non pagate, di secondi e terzi lavori rigorosamente in nero, e di porcherie assortite.

Siamo tutti colpevoli.

Sono colpevoli parecchi pensionati al minimo, che piangono miseria e mungono tutto quel che si può mungere alla sanità pubblica e all’INPS (ticket, accompagnamenti) e che poi hanno seconde e terze case propriamente intestate a figli e nipoti.

Sono colpevoli parecchi agricoltori, che per avidità e per non pagare le tasse hanno sempre sottostimato le loro produzioni agricole e latteo-casearie, impedendoci di accedere a molti fondi europei e riducendo di fatto le quote produttive di pertinenza italiana (salvo poi lamentarsi e rompere i coglioni a tutti coi loro trattori e le loro mucche)

Sono colpevoli moltissimi imprenditori, che hanno ripartito utili da favola negli anni buoni (per tacere, in molti casi, dei proventi dell’evasione fiscale indiscriminata) depauperando le aziende e riducendo al minimo gli investimenti nell’innovazione (di prodotto, di processo) salvo poi disperarsi quando non erano solo scappate le vacche, ma anche i fattori.

Sono colpevoli una fetta enorme di artigiani e commercianti, che emettono scontrini fiscali e ricevute sino al raggiungimento degli studi di settore e tutto il resto è guadagno. Quei bei fenomeni che piangevano miseria al grido di ‘L’IVA al 22% ci distruggerà’, quando loro, l’unica IVA che conoscono è la Zanicchi.

Sono colpevoli molti dipendenti pubblici, che facevano timbrare il vicino di scrivania e poi via al mercato a far la spesa, o in giro a farsi i cazzi propri. E’ lavoro, cazzo, non volontariato.

Sono colpevoli parecchi insegnanti, che hanno scambiato la scuola per un parcheggio e una fonte di reddito addizionale a più o meno floride libere professioni private, col bel risultato che hanno mille impegni, e a scuola non insegnano lo stretto indispensabile, lasciando come indelebile marchio formativo ai loro alunni il concetto che la furbizia paga sempre

Sono colpevoli moltissimi lavoratori dipendenti, quegli stessi che ogni volta stracciano le palle ricordandoci che loro son gli unici a pagare le tasse (ma solo perchè obbligati da prelievo forzoso, sia chiaro). Quegli stessi che per anni si sono opposti ad ogni cambiamento pur di conservare le proprie comodità e status quo, fosse questo status quo l’inutilissimo ospedalino locale con dieci posto letto, un medico per mancanza di prove, dei servizi al di sotto di ogni standard (e poi andavano a farsi curare nella città grande comunque, ma almeno l’ospedale era salvo, eh). Oppure che lottavano per la scuola nel micro paesino, a 4 fottuti chilometri dalla città più vicina, perchè insomma non si può togliere ai bambini (10 di numero) la loro scuola. E pazienza che riscaldare, pulire e manutenere (male) quella cazzo di scuola si spendesse molto più che ad assumere nuovi insegnanti.

Quella ricchezza privata, così orgogliosamente sbandierata dal renzi, dovrebbe indurre a riflettere, anziché inorgoglire. E tutta questa acrimonia verso la politica (che intendiamoci, per insultarli non c’è manco bisogno di prendere informazioni) dovrebbe trasformarsi in un’autocritica che ci faccia prendere in mano una ramazza e dare una pulita in casa nostra.

Perchè solo così questo paese può trovare una risorsa per ripartire. Altrimenti, seriamente, non ci resta che partire (noi).

Economics for dummies/2

La parte migliore dei blog, sono i commenti. Poche cose stimolano come quelli alla riflessione.

Economics for dummies è nato come una serie di appunti in libertà (in un certo senso, righe per me, a futuro memento), stimolati dalla stanchezza di leggere e ascoltare sciocchezze assortite sui mezzi di informazione.

Economics for dummies, anche etimologicamente, nasce dall’esigenza (mia) di riportare l’economia a ciò che è, o dovrebbe essere, una cosa sostanzialmente semplice.

Chi ha frequentato (o conosce qualcuno che ha frequentato) una facoltà di economia e commercio (vecchio ordinamento, ovviamente, che io son vintage), potrà confermare che difficilmente uno studente di economia ama l’interezza del suo corso di studi. E’ comprensibile, chi ama il marketing, o la finanza, per il solito detesta la contabilità. Chi ama, come me l’organizzazione aziendale, prova una profonda noia verso l’intermediazione finanziaria, e così via. La materia è talmente ampia, che per amarla nella sua totalità devi essere un deviato mentale.

Questo per dire che, mentre mi rompevo i maroni (per usare un eufemismo) sull’esame di microeconomia, e risolvevo derivate ed integrali (!) per determinare il vincolo di bilancio e rappresentarlo su una cartesiana, m’arrovellavo sul fatto che mia nonna, appena alfabetizzata, per tutta la vita mise in campo le stesse teorie, con meno pompa e senza allungarla troppo. Banalizzando: nella vita l’optimum è rappresentato dallo spendere meno di ciò che hai, o al massimo ciò che hai.

Poi, si sa, son io che non colgo, ma purtuttavia…

Ecco, purtuttavia, a forza di elevare il concetto (di economia, di politica) lo si è astrattizzato fino a farlo diventare irraggiungibile. da cui l’assioma non ci capisco un cazzo (concetto variamente, ma, ‘povna a parte, con costanza, declinato nei commenti).

E invece no. Una grandissima ceppa di minchia. Non dico che la popolazione debba discettare di curve IS e LM e determinare le scelte macroeconomiche di un Paese. Ma il diritto ad una informazione essenziale e chiara dovrebbe essere il cardine di una società democratica. In assenza di ciò poi diventa ovvio che tocca ciucciarsi i Renzi e i Mr. B., i grillini e la Lega.

Se state male e andate dal medico, quest’ultimo con il vocabolario adatto vi informa delle vostre condizioni. E un’ampia pate di noi è in grado di comprendere i concetti. Certo non magari i dettagli, ma i concetti, sì.

L’economia è una cosa semplice. E pur avendo basi scientifiche, non è una scienza esatta. Perchè l’economia va rimodellata sulla sociologia, sulle differenze anche rilevanti tra sistema economico e sistema economico, tra azienda e azienda.

Esistono modelli gestionali che hanno fatto la fortuna di alcune grandi imprese e ne hanno affossate centinaia di altre. La differenza la fanno le persone.

Quando pensate che sia troppo compleso, occorre banalizzare. La domanda da farsi è: ‘questo, è bene per me?’ La seconda domanda da farsi è: ‘questo è bene per chi sta in cima alla priamide sociale?’ Ed infine ‘questo è bene per chi sta alla base della piramide sociale?’

Un’impostazione economica ragionevole, è quella che media tra noi, il ricco fottutamente ricco, ed il povero fottutamente povero. Non è un sistema giusto in senso stretto (la giustizia, in economia, non conviene), ma è un sistema che funziona, perchè garantisce la pace sociale su cui prosperano le economie.

Fatte queste tre domande, avrete capito molto, quasi tutto. Anzi già lo capite.

Economics for dummies/1

Che poi non è che perchè una rincorre i casi suoi, debba disinteressarsi per forza del mondo. Anzi, tutto il contrario. Che, si sa, l’osservazione della realtà offre spunti e idee imprenditoriali non necessariamente secondarie.

Mi son letta, con calma, le renziane proposte. Che qui, mica siam come i grillini, il cui unico scopo è demolire (ma proposte, in realtà, Grillo&Casaleggio, sin qui, poche).

Tutta roba condivisibile, quella di Renzi, per carità. Che il Paese abbia bisogno di ristrutturarsi, è questione ovvia quanto annosa. Ma questo produrrà effetti, se va bene, a medio-lungo termine. E per quel momento, il sistema-paese sarà morto stecchito.

C’è una sola cosa che dicono sia Grillo che la Lega, che ha un fondamento logico. E passa per l’uscita dall’Euro. Solo che non la sanno argomentare, essendo dei populisti del cazzo, ed avendo come base elettorale, di media, gente che si concentra massimo per sessanta secondi, neppure consecutivi (i leghisti soprattutto).

Uscire dall’Euro non è una passeggiata di salute, è ovvio. Ma potrebbe essere la soluzione. L’Italia sta giocando ad un tavolo che non si può permettere. Per dare un’immagine, è come stare al tavolo verde avendo finito le fiches. L’errore fu fatto a monte. Nella smania per entrare (che restar fuori pareva uno smacco) abbiamo accettato condizioni che non eravamo (e non siamo) in grado di ottemperare. Dare la colpa alla Merkel, sarà pure terapeutico, ma è ingiusto. Era lo standard ad essere fuori dalla nostra portata. Bastava fare come gli inglesi, e restarne fuori.

Paradossalmente, tra Italia, Portogallo, Spagna e Grecia, l’unica che si gioverebbe senza se e senza ma dell’uscita dall’area Euro, è proprio l’Italia. E forse il Portogallo. Una fuoriuscita ci consentirebbe di ricominciare il vecchio gioco della svalutazione della liretta, che per anni ha fatto da traino e colonna portante della nostra economia. Come cazzo credete che siano esistiti gli anni ’80? Si fondavano su un export impressionante. In doppia cifra costante. Altro che made in Italy. Non prendiamoci per il culo. il nostro ruolo è sempre stato quello dei cinesi d’Europa (le fabbrichette della Brianza copiavano, bene le idee degli altri). Il comparto tessile, manifatturiero, della meccanica di precisione produceva un prodotto decoroso, a volte perfino molto buono, ad un prezzo che, al tasso di cambio, era straordinariamente concorrenziale. E noi potevamo far finta di essere ricchi. Poi certo c’era l’Olimpo di cui si riempiva la bocca il craxismo (gli stilisti, la Milano da bere, etc). Ma le colonne erano il tessuto di piccole imprese scopiazzanti, che l’euro ha azzoppato, e non poteva essere altrimenti.

In Spagna, per contro, l’economia è sempre stata di carta (finanza, commercializzazione) con poca industria, molta agricoltura, molta edilizia, turismo a pacchi. Un’uscita dall’euro non cambierebbe eccessivamente la situazione, anche se probabilmente il comparto turismo, svalutando tornerebbe a volare. In Grecia, i problemi strutturali sono, e sono stati, ben altri. Un paese di 11 milioni di abitanti in cui il 65% della forza lavoro è composta da dipendenti pubblici, rende chiaro che l’unica risorsa di quest’economia è il turismo e qualche multinazionale (marginale). Non esiste null’altro. O comunque pochissimo altro. Il Portogallo, è in crisi da talmente tanto tempo, che si son abituati e non gliene fotte. Stanno bene così. Non son ricchi ma hanno una qualità di vita (inteso come tempi e spazi per sé) che soddisfano quel tipo di Paese e cultura.

Precisiamo. Non sto dicendo che uscire dall’euro sarà indolore. Bisogna mettere in conto una svalutazione del 40% (mediamente) dei nostri risparmi. Ma va anche detto che la BCE dovrà renderci, in qualche modo, i conferimenti di questi anni. Perchè se è vero che non adempiamo ai criteri, è vero anche che l’italia non ha chiesto nè prestiti nè aiuti, pertanto dispone ancora della piena titolarità del denaro conferito.

A quanti sostengono che questo è un anacronismo storico, oppongo le scelte più conservatrici degli inglesi (che col senno di poi avevano capito se non tutto molto) e quelle più logiche della Polonia, che appartiene all’area senza averne adottato la moneta (e infatti in Polonia si può transare con doppia valuta, euro, se vuoi, o zloty, comunque).

Non credeo che uscire dall’Euro rappresenti una sconfitta, deve essere invece vista come una sfida e come uno stimolo a far riprendere un economia, che, siamo oggettivi, non può ripartire solo attraverso cunei fiscali e detassazione del lavoro dipendente.

Che fra l’altro, serve a un cazzo, scusate il francesismo. Perchè attualmente molta parte del lavoro dipendente è sulla schiena dell’INPS attraverso gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, mobilità, etc). Il che significa che i contributi non li paga nessuno (i famosi contributi figurativi, figurativi nel senso che figurano senza che nessuno abbia esborsato).