Accadde Oggi – 09 maggio 1978 – Morte di Aldo Moro

Cinquantacinque giorni dopo il sequestro, avvenuto il 16 marzo dello stesso anno, in Via Caetani, a metà strada tra la sede del PCI, in Via delle Botteghe Oscure, e quella della DC, in Piazza del Gesù, viene rinvenuto, nel bagagliaio di una R4 rossa il cadavere di Aldo Moro.

Il sequestro è ad opera delle Brigate Rosse.

Quelli che preludono al sequestro sono giorni difficili. La crisi petrolifera ha messo in ginocchio l’economia del Paese, le Brigate Rosse hanno raggiunto l’apice del loro potenziale eversivo e di terrore, scandali continui scuotono i palazzi del potere. Più di ogni altra cosa, è evidente che la classe politica dominante non è in alcun modo in grado di intercettare il malcontento, il bisogno di cambiamento, l’evoluzione dei costumi.

Pochi giorni prima, la posizione dello stesso Moro all’interno dello scandalo Lockheed è stata archiviata dalla Corte Costituzionale. Era sospettato di essere l’Antelope Cobbler, e, nonostante l’archiviazione, i sospetti, almeno a livello di opinione pubblica, restano.

Il Presidente democristiano viene prelevato in Via Fani intorno alle 9.00, con un’azione che ricorda quella di un commando. Della scorta che lo accompagna, nessuno sopravvive. E probabilmente non è un caso, visto che proprio i concitati momenti del sequestro resteranno tra i (molti) misteri di questa vicenda.

Moro si stava recando a Montecitorio, dove, di lì a poco, avrebbe dovuto presentarsi, per incassare la fiducia, un monocolore democristiano presieduto da Giulio Andreotti, che succedeva a se stesso.

Di fronte agli eventi, il governo incasserà la fiducia il giorno successivo. Per la prima volta, eccezion fatta per il primo periodo del dopoguerra, e vista la gravità dei fatti, il PCI farà parte della maggioranza parlamentare che sostiene il gioverno, sebbene senza propri rappresentanti all’interno dello stesso.

Nasce immediatamente un’unità di crisi, diretta dal Ministro degli Interni, Francesco Cossiga.

In quei 55 giorni accade di tutto. L’unica certezza è che l’ostaggio verrà ritrovato, ma cadavere, nel bagagliaio della R4 rossa.

Le ipotesi si sprecano. Alcune più fantasiose, altre meno. Tutte fondate sulla dietrologia, che d’altronde viene molto incoraggiata dalla perenne mancanza di chiarezza delle vicende italiane.

Dietro il sequestro e la morte di Moro si agitano mille fantasmi. I servizi segreti, la loggia massonica P2, gli amici democristiani, in primis Andreotti, gli americani.

Non mancò nulla, neppure il momento esoterico, con la seduta spiritica (cui partecipò Romano Prodi) cui seguì lo scandagliamento del lago della Duchessa.

Non si fanno qui ipotesi, ma delle molte (troppe) che sono state elaborate negli anni, restano alcuni dati di fatto incontrovertibili.

Mino Pecorelli, che lanciò pesanti accuse su un intreccio che si fondava sui rapporti tra Andreotti e P2, morì meno di un anno dopo, e certo non di morte naturale.

Il generale Dalla Chiesa, che Pecorelli sostiene più o meno velatamente essere a conoscenza della prigione di Moro, e che verrebbe impedito nel liberarlo dal già citato Andreotti, verrà ucciso anch’egli, in un attentato, nel 1982.

Per l’omicidio Pecorelli, quale mandante, verrà processato e assolto (in Cassazione, comunque) Giulio Andreotti. D’altra parte, Pecorelli per il suo modo di condurre e presentare le inchieste giornalistiche, era talmente contiguo al concetto di ricatto (e se ne dibatterà a lungo anche nel corso del processo Andreotti) che diventa difficile stabilire quanti e quali nemici avesse.

E pure Dalla Chiesa, tra terrorismo, antimafia e quant’altro, non aveva probabilmente schiere di amici.

Detto ciò del quadrilatero Andreotti-Gelli-Pecorelli-Dalla Chiesa, due son morti quasi centenari nel loro letto, e due prematuramente di morte non accidentale. E pure questo è un dato di fatto.

Le restanti ipotesi, che coinvolgono servizi segreti e potenze straniere, non sono di per sé false o vere, sono però ancora più arzigogolate e difficili da provare. E soprattutto, con tutto il rispetto per i morti, sopravvalutano il ruolo di Moro all’interno dela politica italiana.

La stessa strategia della fermezza era, oggetticamente, l’unica strada percorribile, a meno di far arrendere le istituzioni al brigatismo eversivo senza possibilità di ritorno. Che poi, all’interno della DC soprattutto, vi fossero personaggi che avevano intravisto nella strategia della fermezza la possibilità di liberarsi di un compagno di partito scomodo, non è da escludere. D’altronde, l’establishment DC, che si trincerava dietro l’amicizia, è sempre stato piuttosto feroce.

Il caso Moro ciclicamente torna d’attualità. In parte spinto dalla famiglia, che ha sempre cercato la verità percorrendo, a volte, strade piuttosto fantasiose. In parte fomentato da chi, e penso soprattutto a Cossiga, non aveva mai fatto veramente ‘pace’ con quei giorni e lanciava accuse senza mai apportare prove.

Le uniche certezze sono che Moro venne sequestrato in via Fani, il 16 marzo del 1978, e ritrovato cadavere nel bagagliaio di una R4 rossa cinquantacinque giorni più.

E per molti di noi, nati nella metà degli anni ’70, rappresenta le dirette dei tg di quei giorni rappresentano il primo ricordo televisivo consapevole.

 

 

Accadde Oggi – 14 gennaio 1976 – La Repubblica per la prima volta in edicola

La ‘ragazza’ compie oggi quarant’anni e fa sorridere pensare che siamo quasi coetanee.

Era il 14 gennaio del 1976 quando, per la prima volta, comparve nelle edicole ‘La Repubblica’.

Il clima è difficile. Gli anni di piombo incombono, e il Paese è affaticato.

Nella mente del suo ideatore e fondatore, Eugenio Scalfari, c’è l’idea di un quotidiano che faccia riflettere sugli avvenimenti, ancor prima, o ancor più che raccontarli.

Scalfari, nel 1976, ha 52 anni e una notevole carriera alle spalle. Ha contribuito in maniera determinante al successo del settimanale L’Espresso tra il 1963 ed il 1968, ed è stato successivamente deputato della Repubblica, nelle file dei socialisti di De Martino.

L’obiettivo è insidiare il primato del Corriere della Sera nell’informazione italiana. Pertanto, se il Corriere è a Milano, Repubblica avrà sede a Roma. Se il primo è conservatore, tendenzialmente filogovernativo, il secondo si collocherà a sinistra, una sinistra laica e progressista, che prende posizione in modo netto sui cambiamenti cruciali della società.

L’idea piace a Mondadori ed all’editore Carlo Caracciolo, che lo finanziano per metà.

Il nome deve avere un forte richiamo all’istituzionalità. D’altronde si propone come un attore a livello nazionale, non locale.

Il progetto deve essere innovativo non solo nei contenuti, ma anche nella forma.

D’altronde, per smarcarsi dal mondo paludato del Corriere lo stacco deve essere netto. Pertanto si abbandona il tradizionale formato ‘lenzuolo’ a 9 colonne per un formato tabloid, più compatto, che da un lato richiama il mondo anglosassone e dall’altro offre una maggior maneggevolezza.

Cambia anche il carattere, l’utilizzo del Bodoni, nei titoli, è volto ad aumentare l’incisività degli stessi.

Anche perchè i titoli vengono visti come una chiave di volta nell’architettura dell’articolo, e sono pensati e composti in maniera maniacale. Il sotteso è chiaro: il concetto cardinedeve poter passare in una manciata di parole. Il resto, viene dopo, ed è approfondimento.

La sede, si diceva, viene fissata a Roma, e i redattori inizialmente sono 60 , di cui 50 giovanissimi.

Ma i ‘senior’ sono grandi firme come Giorgio Bocca, Sandro Viola, Mario Pirani, Miriam Mafai, Barbara Spinelli, Natalia Aspesi e Giuseppe Turani. La satira è affidata alla matita di Giorgio Forattini.

La storica prima pagina del 14 gennaio 1976 si apre con un’intervista di Scalfari al segretario del PSI, Francesco De Martino, sulla crisi di governo e sui rapporti con il PCI di Berlinguer.

La notizia centrale si concentra sull’incarico di governo conferito ad Aldo Moro, mentre nel taglio basso campeggia un articolo di Giorgio Bocca sul rischio fallimento della Innocenti.

All’interno ampio risalto viene dato alla politica nazionale ed internazione, impostazione che resterà uno dei tratti distintivi del giornale, insieme all’enfasi su economia e cultura.

Scelta controcorrente, non compare lo sport, che sarà presente solo a partire dal 1979 e curata comunque da un grandissimo, Gianni Brera.

Ma per anni, Repubblica, il lunedì non uscirà. Sembra una scelta snobistica, di chi non vuole mischiarsi con la cultura sportiva. Si scoprirà poi che il problema era meramente economico. La copertura del campionato generava costi che il neonato quotidiano non era in condizione di affrontare. Repubblica di lunedì comincerà a comparire nelle edicole negli anni ’90.

L’esordio si accompagna con vendite strabilianti: 300mila copie.

Ai lettori piace il nuovo format grafico, ma soprattutto il modo di porre le notizie. Molti orpelli sono stati eliminati e la comunicazione è chiara e diretta.

Ma i numeri del lancio, come prevedibile, non si mantengono, e il quotidiano si attesta, fino al 1978, su una media di 70.000 copie giornaliere.

Poi, nel ’78, mentre l’Italia attraversa i suoi giorni più bui, la svolta.

Molti i fattori a determinarla.

Piero Ottone lascia la guida del Corriere e si trasferisce a Repubblica. Aveva impresso al quotidiano di via Solferino un’impronta progressista mentre il potere editoriale era detenuto dalla famiglia Crespi, conseguendo anche un vertiginoso aumento delle vendite. Ma quando la proprietà passa di mano ed ai Crespi subentrano i Rizzoli, il direttore viene riconfermato, ma è lui stesso, saggiamente, ad accorgersi che i venti son cambiati e che si è fatto il momento di migrare altrove.

Inoltre, Repubblica ha un successo crescente tra i movimenti giovanili universitari, soprattutto quelli della sinistra più moderata e più distante da Potere Operaio. La copertura impeccabile durante il sequestro Moro farà il resto, aumentando l’autorevolezza del quotidiano.

E proprio una delle foto di Moro nel covo brigatista viene scattata con un copia di Repubblica tra le mani.
Gli anni ’80 si aprono con la scalata al primato di primo quotidiano nazionale, obiettivo che viene raggiunto verso la fine del decennio (quando le copie vendute quotidianamente sono in media 700mila).

Risultato ottenuto anche attraverso una serie di iniziative nuove e lungimiranti, su tutte il lancio del primo supplemento Affari & Finanza nel 1986 e, l’anno dopo, del magazine settimanale Il Venerdì di Repubblica. Nel frattempo la proprietà passa di mano e a Caracciolo subentra Carlo De Benedetti che riunirà Repubblica e L’Espresso sotto le insegne di un unico gruppo, il Gruppo Editoriale L’Espresso.

L’impronta è sempre quella, e il giornalismo di investigazione continua ad essere l’asse portante del giornale. Nel frattempo sulle pagine di Repubblica passano le firme più prestigiose del giornalismo italiano.

Oltre a quelle già citate, val la pena di ricordare Giampaolo Pansa, Enzo Biagi, Beniamino Placido, Vittorio Zucconi, Gabriele Romagnoli, Adriano Sofri, Michele Serra, solo per citare i più famosi.

E sarà proprio Repubblica a scoperchiare il calderone del caso Enimont, e a coprire, senza cedimenti, quell’apocalisse del sistema che fu Tangentopoli.

Sulle macerie di Tangentopoli e con la scomparsa dei partiti politici tradizionali, il quotidiano ingaggerà una contesa ferma e senza remore, sia sotto il profilo politico, che, forse ancor più, sotto il profilo giudiziario, con Silvio Berlusconi.

La battaglia sul conflitto di interessi sarà epocale, con il placet dell’editore, quel De Benedetti cui ancora brucia il lodo Mondadori.

Nel 1996, dopo un ventennio trascorso al timone, Eugenio Scalfari lascia la poltrona di direttore responsabile e indossa i panni del padre nobile e dell’editorialista.

Gli succede Ezio Mauro, già corrispondente di Repubblica da Mosca nei giorni esaltanti della perestrojka e della caduta del Muro, e, dal 1992 al 1996 direttore de La Stampa.

Manterrà inalterato lo spirito di Scalfari e nei giorni delle cene eleganti, insieme a Colparico e D’Avanzo condurrà una nuova epocale battaglia contro Berlusconi, il berlusconismo e il marcio sottobosco che ne è l’imprescindibile contorno.

Vent’anni sopo, lo schema si ripete, ed Ezio Mauro, proprio oggi, nel quarantennale, lascerà la poltrona a Mario Calabresi, già corrispondente di Repubblica dagli Stati Uniti, e, dal 2009 al 2015, direttore de La Stampa (pure lui).

E a questo punto non resta che augurare al quotidiano altri quarant’anni sempre all’altezza, lasciandovi con la prima pagina del 14 gennaio del 1976.

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Accadde oggi

C’era una volta l’almanacco del giorno dopo.

Era un dogma indiscutibile, era l’ora di cena, era il tutti a tavola.

Per sedici anni, dal 1976 al 1992 è andato in onda implacabilmente, sera dopo sera.

Faceva da traino al TG1, e a condurlo erano le ‘signorine buonasera’ come venivano chiamate le annunciatrici RAI in quegli anni, che parità di genere e politicamente corretto erano ancora molto di là da venire.

Nel corso del quarto d’ora scarso di trasmissione venivano dispensate informazioni di dubbia utilità racchiuse in rubriche quali “La cucina”, “Le Erbe” , “Fatelo Da Voi” , “Le piante e i fiori” , “Le pietre raccontano”.

Ma soprattutto ci intrattenevano con perle quali: l’ora in cui leva la luna, l’ora in cui tramonta, il santo del giorno e la ragione per cui detto santo fosse assurto alla gloria degli altari.

Poi, dato che era pur sempre l’Almanacco del giorno dopo, c’era la rubrica “Avvenne domani”.

E ripensando a quella rubrichetta d’antan, nasce l’idea di Accadde oggi.

Post a cadenza variabile, con un fatto da ricordare, sia esso di politica, storia, costume o società.

Vicende che hanno segnato il mondo, l’Italia o anche solo la storia particolare di qualcuno di noi.