E’ il 1977 quando, sulla Rete 2, appare per la prima volta l’impermeabile spiegazzato del Tenente Colombo. La serie originale, Columbo, è in onda negli Stati Uniti già dal 1968.
Per l’Italia, è una novità. Per mille ragioni. Anzitutto perchè il telefilm in quegli anni è un genere di introduzione recente e diffusione ancora abbastanza limitata, e si tratta di una programmazione principalmente a base di sit-com.
Fino a quel momento, il ‘giallo’ nella televisione italiana rimandava al Tenente Sheridan di Ubaldo Lay, allo straordinario Maigret di Gino Cervi e poco altro.
Ma il Tenente Colombo era una novità in sé. Perchè la sua struttura ribalta tutte le certezze che sin lì avevano accompagnato la rappresentazione televisiva del giallo classico. Sino a quel momento lo schema seguito derivava dal giallo inglese, o giallo classico, da sempre imperniato sul whodunit (contrazione dall’inglese, who has done it? – chi l’ha fatto?)
Uno schema semplice ma efficacissimo: c’è un investigatore, c’è un delitto e c’è un colpevole, che viene scoperto attraverso una serie di indizi spesso nascosti e talora fuorvianti, all’interno di una cerchia di personaggi comunque abbastanza ristretta.
Nel Tenente Colombo, no. Perchè l’assassino, nell’atto di compiere l’omicidio, compare fin dalle prime sequenze.
Ciascun episodio ha infatti una struttura fissa: un omicidio iniziale, la strategia elaborata dall’assassino per simulare la propria innocenza (e qui c’è varietà: alterare l’ora della morte presunta, incolpare un innocente), la ricerca della vertià da parte dell’investigatore.
Lo spettatore conosce pertanto sia l’identità dell’assassino che il modus con cui l’omicidio è stato commesso.
Con uno spoiler del genere si azzera ogni interesse nello scoprire il colpevole, e il focus si sposta sull’attacco psicologico (sfinente) sferrato da Colombo nei confronti del colpevole.
Qui entra in gioco un duplice fattore che è la chiave del successo della serie. La figura stessa dell’investigatore, così come è stata pensata dagli sceneggiatori, e l’interprete.
Un tenente di origine italiana molto abile, quanto (almeno all’apparenza) distratto, abbigliato in modo trasandato, con un vecchio impermeabile sgualcito da cui non si separa mai, quasi fosse una coperta di Linus.
Incallito fumatore, di solito compare con un mozzicone di sigaro in mano. Altri tempi, altre sensibilità.
Colombo è, essenzialmente, capacità intuitiva, grazie alla quale riesce a individuare quasi subito l’assassino. C’è sempre qualcosa che dovrebbe esserci e non c’è, oppure un gesto inconsueto che generano la scintilla del primo sospetto.
In ragione di quest’apparenza del tutto sui generis, il colpevole tende immancabilmente a sottovalutare le capacità dell’investigatore, assumendo un iniziale atteggiamento di condiscendenza.
Ma da quel momento Colombo diventa ossessivo, facendo sì che da un lato il colpevole avverta se stesso come sospetto, e dall’altro, stremato dalla petulanza del nostro, cominci a commettere errori che possano contribuire alla sua definitiva incriminazione.
Colombo, tuttavia, non sarebbe Colombo senza la moglie e il cane.
Perché ha una moglie, cui pare molto affezionato e che nomina spesso, ma che tuttavia non apparirà mai nel corso delle stagioni della serie. Si riferisce sempre a lei come a “mia moglie” senza però mai chiamarla per nome.
Non ne verrà mai mostrata neppure una foto. In un episodio, per un’indagine, si organizza il finto omicidio della consorte: in più scene sarà visibile una foto, che si rivelerà essere, alla conclusione dell’episodio, la foto della sorella della moglie (come ammetterà lui stesso).
Sulla scena del delitto Colombo arriva sempre a bordo di una scassata Peugeot cabriolet, cui sembra tenere moltissimo. Sull’auto, fedele compagno, si trova un cane di razza basset-hound, particolarmente pigro, che reagisce a qualsiasi ordine accucciandosi. Al pari della moglie non ha un nome, lo chiama, semplicemente, “Cane”.
Ma questi aspetti, altro non sarebbero che l’ennesima caratterizzazione di un detective, con vezzi, e stranezze, che da sempre caratterizzano l’investigatore anche in letteratura, senza l’interpretazione di Peter Falk.
Falk, aria sorniona, ottimo attore (due nomination al’Oscar come attore non protagonista per Angeli con la pistola e Sindacato assassini, un lungo sodalizio con un grande regista indipendente come John Cassavetes), uno sguardo inconfondibile dovuto all’asportazione, da bambino, di un bulbo oculare sostituito con una protesi, sarà da quel momento IL tenente Colombo.
E senza quell’aria stropicciata, quello sguardo un po’ così mentre torna sui suoi passi dicendo “Un’ultima cosa…” la serie forse non avrebbe avuto lo stesso, planetario, successo.
Visto e rivisto, replicato e strareplicato, un pezzo dell’infanzia di molti di noi, nati negli anni ’70 e ’80.
Ancora in replica oggi, non risente dell’assenza di tecnologie moderne, e forse un po’ demodé sembrano solo abiti ed acconciature, ovviamente molto anni Settanta, e certi contesti sociali ormai inusuali a tutte le latitudini. Ma le storie reggono ancora. E molto bene, proiettando questa serie nell’Olimpo dei classici.
Infine una curiosità. A dirigere la puntata pilota fu un regista ventiduenne di belle speranze. Tale Steven Spielberg. Ne avremmo sentito parlare.