Ma io non lo sapevo che era una partita

A parziale quadratura del cerchio, ed in attesa del venerdì del libro di domani e della proclamazione di sabato, alcune annotazioni su una settimana declinata in ossequio alla morale e all’etica.

Una anzitutto di carattere sociologico. Senza allargare troppo lo sguardo e limitandoci al nostro parzialissimo ombelico, i commentatori abituali, tranne rarissime eccezioni (l’unica a me nota, gaberricci), sono figli degli anni ’70.

Qualcuno ha gia scollinato la china dei 40, qualcun altro è in procinto di.

Veniamo, tutti, da un percorso che è comune, nonostante le differenze possano essere molte. Siamo, ci piaccia o meno ammetterlo, figli di una cultura borghese.

Una cultura borghese formato anni ’70. Laddove borghese non implica un’appartenenza in senso sociale e men che meno in senso politico. Ma con il modo di intendere al fondo la società, che era comune a molti, non importa da dove provenissero, non importa dove volessero andare

Non è un rimpiangere il buon tempo andato. Quella borghesia solo raramente era illuminata, e per lo più traeva con sé un certo perbenismo di cui, strada facendo, abbiamo dovuto imparare a disfarci (spesso senza riuscirci del tutto). Pure, quella borghesia anni ’70 era migliore della borghesia 2.0 con cui ci troviamo a confrontarci oggi.

La stessa che, come sottolinea acutamente gaberricci in un commento, ormai è concentrata esclusivamente sul ‘me’. La stessa per la quale noi è un pronome estensibile, al massimo, alla coppia.

La borghesia 2.0 ha perso ogni riferimento. Anzitutto culturale. Se una volta il non leggere era un’affermazione tra il detto e il non detto, ma certo non un motivo di vanto, oggi molte persone si gloriano di aver letto, al massimo, le istruzioni del cellulare. con buona pace di #ioleggoperché

Come indicava ammennicolidipensiero, il mantra medio di un genitore italico è indicare alla prole di ‘farsi furbi’. Il postulato sottinteso, ‘fotti prima di essere fottuto’.

Il primo baluardo formativo della società, la famiglia, s’è ampiamente rotto i coglioni di formare alcunché. Persa nella sua ottica 2.0, condivide su feibuc mettendo mi piace a cazzo, e ignora la prole che cresce come può, meglio che può.

Quando su questo si instaura anche la povertà e il disagio, arriviamo alla sofferenza e al dolore che ci racconta spersa. Ma non è che il vuoto di Biancaneve non esista altrove. Il vuoto di Biancaneve si riflette nei vestiti firmati, nell’anoressia, nella bulimia, nei tiri di coca o nell’annegare nell’alcool le residue cellule cerebrali. Non restano incinte quelle che non provengono da povertà e disagio, forse. Ma solo perché hanno madri 2.0, che la pillola se le figlie non la ingollano da sé gliela sciolgono nel latte la mattina. Ma l’agonia (umana, morale e etica) è più condivisa di quanto crediamo, o siamo disposti ad ammettere.

Il secondo baluardo formativo della società, la scuola, s’è rotta altrettanto i coglioni. Ho capito che c’è la ‘povna, ed RS, ed ellegio, e pens, e murasaki, la noise e aliceland per citarne alcune. Ma ragazze, lo sappiamo bene tutti come vanno le cose. Lo raccontate pure, a volte. Che credetemi, l’osservatorio medio è: metto buoni voti, essi non rompono le palle, i loro genitori neppure, io porto a casa il mio stipendio a fine mese, e fuori dalle 18 ore mi faccio, laddove possibile, i cazzi miei (e spesso arrotondo, felicemente in nero). Con sommo gaudio di tutti. Poi, però la scuola finisce. E immette nella società (non sul mercato del lavoro, che quello, credetemi, sarebbe il meno) dei ragazzi impreparati. Impreparati nella sostanza, certo. Ma soprattutto alla vita.

Incapaci di accettare la sconfitta, di essere messi in discussione, di sapere alzare l’asticella. Perchè se c’è una cosa che la borghesia 2.0 sa fare benissimo è abbassarla l’asticella. Se una cosa è troppo difficile, perchè sbattersi di più? semplifichiamo, togliamo un pezzo, limitiamo.

Non è la politica ad aver limitato lo stato sociale, tagliato servizi essenziali, impoverito la società. E’ stata la società a permettere che accadesse. E noi, proprio noi, che leggiamo e scriviamo e commentiamo a consentire che il re girasse impunemente nudo senza alzarci in piedi e dirlo.

‘Il cielo stellato in me e la legge morale dentro di me’. Forse. Ma il primo è oscurato dall’inquinamento. E la seconda dagli infiniti bisogni che ci siamo creati per sentirci ancora più soli.

40 pensieri su “Ma io non lo sapevo che era una partita

  1. Non la vedo così nera. I nostri studenti hanno occhi limpidi e belle speranze, si danno da fare per rendersi utili, all’interno della loro classe, della loro scuola e perfino nel sociale e non sono tutti ‘nati col culo nel burro’, immagine efficace di cui non ricordo la paternità. D’altra parte, esistono da sempre le povere Biancaneve, che abortiscono o partoriscono a sedici anni, perché l’ignoranza è ancora vasta, la contraccezione non abbastanza diffusa e la 194 è boicottata da medici profittatori.
    La classe dirigente, intesa come politici e poteri forti, oscilla tra l’arraffone e il menefreghismo, il senso civico latita, come dicevamo, anche nei servitori dello Stato.
    C’è sì ancora un sacco da lavorare, sull’etica e sulla morale, ma non è che in passato andasse meglio.

    • Ma infatti, come dico non è che andasse meglio. Qui, specificamente, va peggio. Poi, può piacere o meno, ma credo ci sia una certa differenza, in questo caso tra Nord Est e Nord Ovest e zone come l’Emilia o la Toscana. E ho il sospetto che lì sia oggettivamente meglio. E’ una dicotomia anche del passato, pure questa. C’è sempre stato un maggior senso della cosa pubblica. E le Biancaneve son sempre esistite. Ed esisteranno sempre. Ma non è che le loro omologhe fighette, soldi a parte se la passino meglio.

  2. Oh, se hai ragione. Anche se anche io sono ottimista per vocazione e volontà. Però resta il fatto che la scuola, almeno oltre il 50% (quelli che non vanno al liceo) accoglie ragazzi che in prima dicono che continueranno a studiare e in quinta sognano solo di smettere. E’ un dato. La scuola disamora da se stessa, in larghi casi. E quando glielo fai notare, beh, quando glielo fai notare succede che i colleghi si incazzano, e ti invitano a un bagno di umiltà. (Scrivo incazzata nera perché oggi di questo sono stata accusata in margine a una mia intervista nazionale sulla lettura, per la quale parecchi colleghi hanno gonfiato la coda di paglia a gonfalone).
    Sì, ci siamo rotti i coglioni. Dei colleghi, in primis, della gente poco intelligente, in secundis, della gente ipocrita, in tertiis – e di solito, almeno a scuola, a essere da rogo sono le donne, e di materie non tecniche. Così è.
    Ma noi resistiamo. Ma delle volte, come oggi, non bastano 90 vasche a farsela passare.

    (OT: e toglimelo, quello apostrofo da “qualcun’altro”, va’ là! 😉 )

    • Oh cazzo, e ci ho pensato pure, probabilmente., corretto grazie .. Quanto all’incazzatura, legittima, si torna al punto, se vai li solo per trascorrere 18 ore e svolgere dei programmi ministeriali che ormai puzzano di stantio lontano un miglio, certo che i ragazzi si disamorano. Solo che se li perdi quando cazzo più li recuperi i ragazzi? Ma soprattutto che senso ha un diploma strappato a forza? Cui prodest? alle sole liste di disoccupazione che non si riempiono? e diciamolo che per lo più ste creature escono dalle superiori (ma pure dall’università a volte) senza saper fare assolutamente un cazzo. E quando dico assolutamente un cazzo intendo anche il sapersi comportare in un luogo di lavoro. E poi certo che glielo insegni, non foss’altro che per mera sopravvivenza tua. Ma andrebbe detto che non sei la loro madre, non sei il loro insegnante, sei un collega o un datore di lavoro. Insegnare i rudimenti del mestiere ha tutto un suo senso. Le basi della convivenza civile, se permettono (i tuoi colleghi) un po’ meno.

  3. Sono d’accordo su tutto, tranne che su una cosa: quella borghesia, forse, era meglio di questa (non lo so perché non c’ero); ma questa borghesia è figlia di quella. Voi non siete la regola, siete l’eccezione.

    P.S.: sono gli altri della mia età, che non sanno quello che si perdono ;-). O forse sono io che sono, ehm, maturo.

    • Infatti, questa borghesia discende da quella.E quella non era meglio, assolutamente. Ma era più educata e meno ignorante. Questa ci ha messo molto del proprio per peggiorarsi. Non so se siamo l’eccezione. La regola media, condivido, fa abbastanza compassione. E si, sei maturo, senza faccette, davvero.

      • Era una borghesia più presentabile. Questo non significa che fosse migliore: era solo più ipocrita. E doveva esserlo, visto che nell’Italia in cui siete cresciuti voi c’era ancora quel minimo di decenza che permetteva di distinguere gli sfruttati dagli sfruttatori, e di stare dalla parte dei secondi. Gli anni Ottanta prima, ed il berlusconismo poi, hanno convinto tutti di essere dei “vincenti”: per cui oggi ci si può ampiamente permettere di essere arroganti, perché anche gli sfruttati riconoscono che lo sfruttatore “ha ragione”. Perché, se loro fossero al suo posto, farebbero lo stesso.

        Ti ringrazio del complimento.

  4. anch’io, come i precednti, concordo su tutto; come i precedenti, preferisco ancora sostenere – come scrivevo a spersa l’altro giorno sul suo blog – l’ottimismo della volontà di fronte al pessimismo della ragione. aggiungo una piccola deroga agli anni: l’età, la data di nascita delle nostre famiglie d’origine non è un dato irrilevante. io potrei essere, conti alla mano, un figlio di baby boomers; non lo sono, sono al contrario figlio di una contraccezione mal riuscita in età avanzata. detto così suona male, ma personalmente non mi faccio gran cruccio di ciò: anzi, significa semplicemente che entrambi i miei genitori sono nati prima, ed hanno vissuto in pieno, la seconda guerra mondiale. l’hanno vissuta nel cuore povero della toscana, in mezzo ai partigiani e con lutti familiari causati dal nazifascismo quanto dai bombardamenti degli “amici alleati”. ecco, non so quanto in fretta si dimentichi tutto ciò, se poi ad un certo punto succede qualcosa e sbrocchi, vai a sapere; se però questo qualcosa non succede, e non ti dimentichi di ciò che hai vissuto, fai parte di quella borghesia 1.0, quella borghesia analogica che ai propri figli ha insegna che, per abbassare l’asticella (e puoi comunuqe farlo, ci mancherebbe, per mille e mille validi motivi), il primo a cui tocca piegarsi, in ogni caso, devi essere tu.
    (troppo lungo da rileggere, sorry oer eventuali anacoluti)

    (è il caso che mi rimetta a scrivere un po’, mannaggia, che questi giorni son stati deliranti e ho letto poco e male)

    • molto vero, il riferimento alle età parentali. in ogni caso, siam figli di gente nata o a cavallo della guerra, o appena dopo. Al più agli inizi degli anni 50. Figli di gente che di guerre mondiali se ne era, plausibilmente, smazzate un paio. Il che ti dà una certa impostazione. Certo che poi occorre mantenersi ottimisti. altrimenti tanto vale far armi bagagli e prole e riprovare altrove. Ma la ragione guarda la volontà e sghignazza, certi giorni.

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  7. Come sai io ho scollinato i 50 e per me stare a scuola ogni giorno è spesso sconcertante. La scuola è lo specchio della società ed è popolata da una fauna sempre più sconcertante.io spero ancora però. Nei nostri figli. Che possono rappresentare il cambiamento.

  8. Hai fotografato la scuola italiana nella seconda parte del tuo post. Tengo quell’asticella alzata, ma cosi in alto da rischiare, talvolta, ammonimenti, finora mai scritti, da parte delle Cape d’istituto, già da tempo prostituite all’aziendalismo scolastico della peggiore specie. La mia bibbia è la Costituzione, non la spazzatura legislativa della scuola italiana. Ho la forza e il coraggio di mettermi a tu per tu con i genitori e di dire loro quello che penso dei loro eterni pargoli, stampo due e tre a pioggia, comei nove e dieci se è il caso. Spero di continuare ad alimentare queste energie, altrimenti quell’asta si abbasserà. Ognuno faccia la propria parte, ancora meglio se insieme agli altri, ma si è sempre più soli in questa lotta.

    • Ho letto il tuo post dell’altro. E il rifare le tracce. e ho pensato che eri solo, nella lotta. Perchè anche i colleghi ragionevolmente ti appoggiano poco. Certa saldezza, comunque ce la si può permettere solo se si è preparati e competenti, ed è ciò che, credo, differenzia voi da molti

  9. Tante cose vere e giuste dette qui. Perdonate ma non ho la forza di articolare un pensiero che aggiunga qualcosa a quanto già detto. Io sono ottimista di natura e cerco di accorgermi del tanto di buono che ancora c’è, banalmente. E avanti. Al netto di molte frustrazioni, incertezze, paure, delusioni e sconvolgimenti, sempre avanti.

  10. Mi associo al 101 % a iome, come spesso mi capita.

    Però: se penso ai ragazzi che ci arrivano all’università, è la media che è calata molto, quelli buoni ci sono e nei numeri di sempre. Solo che 25 anni fa arrivavano quasi solo quelli. Poi, come educazione, maniera di porsi etc, sono meglio di quanto eravamo noi. Almeno questo io vedo; quel che bisognerebbe fare è permettere a quelli migliori di emergere e dare il loro contributo, ma con la crisi annegano tutti.

    Io sono del ’56, i miei erano profughi Istriano-dalmati, arrivati con solo i vestiti che avevano addosso, e vi posso assicurare che se c’è stato un cambiamento, nella scuola ma nella società tutta, è che manca molto quella voglia di migliorarsi che in quegli anni si respirava con l’aria.
    Ai tempi a scuola si faceva l’esame di 2° elementare, quello di 5°, magari pure quello di ammissione alle medie, e via ad andare e comunque non era in discesa anche per chi andava alle tecniche o alle “industriali” o “commerciali”, e si imparava da subito che o si muoveva il culo, o si restava per strada. Si veniva bocciati e rimandati a 6/8 anni, e non la si passava liscia in casa. Anche perchè i nostri genitori, che la guerra l’avevano fatta o subita, non accettavano di rifare l’italietta (che sta ritornando), ma volevano rivincita alla faccia del mondo, giustizia nel lavoro e nella società e far le cose x bene, come avevano visto dai tedeschi e dagli americani, dopo l’umiliazione della sconfitta. Era normale sul lavoro sentir dire “non ho fatto la guerra per farmi comandare da un mona come te”, cosa che ora sembra impossibile, no ? E fare la cosa giusta, anche contro gli ordini superiori.
    Ora, questa voglia di far meglio ce l’hanno solo certi immigrati.

    Ecco perchè dico spesso che non capiamo, qui noi ormai vecchi all’università, come ci arrivi gente da scuole superiori che ai nostri tempi avrebbe faticato a farsi la licenza elementare: i ragazzi, giunti a scuola a 6 anni, imparano subito che fare o non fare, fare bene o fare male, nel mondo che vivono, è lo stesso e non viene mai sanzionato. Così, a parte i pochi entusiasti o diligenti (+ spesso le ragazze) tutti i salvabili vengono annegati nella massa di chi si adagia e vivacchia con le furbate. Lo han fatto anche i miei figli !
    lo so, lettrici, che voi siete brave insegnanti, ma siete una minoranza, spesso infima, e se si trova una come voi tra gli insegnanti dei figli per anno, è già una lotteria vinta. Il resto, un mare di lacrime.

    C’è speranza per questo paese ? Certo, però dovremmo cominciare a dirci la verità, e dovrebbero cominciare a dircela anche i ns capi, altro che “tutto va bene, i ristoranti sono pieni, gli aerei sono pieni”.
    Il debito che abbiamo costa più della guerra persa dai nostri (miei) genitori e nonni, e ci vorrebbe una vera ricostruzione, testa bassa, sacrifici e pedalare, tutti, per costruire un paese moderno e giusto, non un paese di paraculi. Forse dopo 20 anni potremmo uscirne, come ne uscirono con lacrime e sangue i ns genitori tra i ’60 ed i ’70: ma bisogna cominciare a dircelo, ed agire di conseguenza. E spegnere un po’ di televisioni che ci raccontano un’italia che non c’è, salvo che per i privilegiati. E vivere di cose vere, non di puttanate.

    Anonimo SQ

  11. Resistere, resistere, resistere. A costo di passare per scassaminchioni, almeno con quelli a cui teniamo. Figli prima di tutto. E poi pervicace fiducia nel futuro. Del resto io continuerò a credergli (al futuro), almeno finché lui crederà a me. E poi io sono un 66, l’anno del boom vero, l’anno dei Beatles, l’anno dell’alluvione a Firenze, grandissima prova di coesione e di cittadinanza attiva. Non posso tradire le mie radici. Non posso, neanche volendo.

  12. Dopo un post come il tuo e un commento come quello di anonimosq non c’è molto altro da aggiungere, se non condividere parola per parola quanto da voi scritto e da me letto.
    Io sono un po’ più “maturo” della media, essendo nato nel ’66 e leggendoti pensavo che la generazione dei quarantenni di oggi, quelli che in qualche modo guidano, governano, insegnano (eccetera, eccetera), sono i figli di quei genitori che hanno fatto la tanto decantata rivoluzione del ’68… Mah!

    • Come Romolo appena sopra del 66. che era l’anno dei mondiali inglesi… Ma non demoliamo il ’68 che senza quel movimento questo Paese era una discreta palude sociale, eh. Poi ci sono state delle storture, come spesso accade. Ma non demoliamolo.

  13. Purtroppo ci sono persone vivono un’intera esistenza coltivando esclusivamente il proprio giardinetto. Senza morale, senza etica. (PS io sono un po’incasinata, ma spero di riuscire a scrivere i miei due cents tra oggi e domani, perché la Settimana dell’Etica e della Morale si sta dimostrando una delle migliori iniziative sul web degli ultimi anni).

  14. Beh, c’è poco da aggiungere. Voglio solo fare un grande applauso a te che hai scritto il post e a tutti i commentatori…così lascio la mia traccia😊
    E poi vi abbraccio virtualmente perché a leggere qui sembra che nel mondo ci sia anche tanta bella gente!

  15. Aggiungo una cosa … mammaIgi, anni 40, in navigata libera verso i 41. Vivo in un lavoratorio di ricerca scientifica dal 1997, quando la studente ero io e di studenti in questi quasi 20 anni ne ho visti passare…ma tanti tanti tanti…io vedo lo step finale del loro percorso scolastico (la laurea) e il primo step del passaggio alla vita adulta (il lavoro “preteso” perché son laureato) e acclamo all’insuccesso su tutti i fronti. Le università sono diventate università a quiz dove vince chi è più abile con le crocette e non sempre coincide con chi ne sa di più e magari saprebbe esporlo anche parecchio bene se solo ne avesse la possibilità. Sull’università come struttura stendo un velo pietoso. Qualche raro docente di buona qualità si salva. Ma l’università istituzione ha dei bachi che diventano più bacosi ad ogni riforma che viene fatta. Gli studenti “pretendono” una laurea, rifiutano “la gavetta”, post lauream vengono a fare il nostro lavoro che dovrebbe essere più una passione che un lavoro solo se retribuiti, quando io ed i miei coetanei tutti, una volta capita che quella era la nostra passione finché non retribuiti lavoravamo fuori orario di lavoro normale (09-19) con camerieri, dog sitter, promoter …. per poterci permettere di avere l’indipendenza che un 25enne deve avere mentre espletavamo la nostra gavetta per entrare a pieno titolo nel mondo del nostro lavoro che è anche la nostra passione, con le sue gioie e i suoi dolori. I laureati di oggi o tutto e subito o arrivederci e grazie. È il loro dogma.

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