Saremo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro

Sanremo è finito. E la ‘povna ne ha tratto un bellissimo post con un’analisi politica importante, che condivido, anche se non avrei saputo elaborare in proprio.

Hanno vinto gli Stadio, e io ripenso miei vent’anni. Si cita, anche qui, come già dalla ‘povna, il Purci, che, nell’innocenza dei suoi otto anni ha sentenziato parlando del Curreri: “Ha una bella voce, per essere un uomo anziano”. Perchè, se è pur vero che il Curreri ‘non è mai stato giovane’ (cit.) adesso s’è fatto proprio anzianotto. E mentre scorrono i titoli di coda a iome viene in mente, sempre ripensando ai suoi vent’anni, che il Curreri aveva allora gli anni che lei ha adesso. E si destabilizza, per un attimo.

Un solo appunto agli Stadio. Su quel palco potevano portarsi un po’ di arcobaleno. Perchè sono stati gli amici di Vasco, il gruppo di Dalla, e cantavano

Dove si va
a far l’amore dove si va
con un sorriso
hai detto al cinema no
al mare e’ meglio di no
allo stadio pero’
c’e’ un concerto rock.

E se i nastrini arcobaleno se li sono portati sul palco i Pooh, allora, beh, potevano pensarci anche loro. E il dire dopo: ‘Siamo d’accordo’, ha ragione la ‘povna, non è uguale, proprio per niente.

Iome, si diceva, non trae auspici politici dal festival, non ne ha gli strumenti. Lei lo guarda perchè si diverte, perchè è un carrozzone, perchè è autenticamente nazionalpopolare. E proprio per questo, facendo eccezione per Fazio, a Sanremo, per lei, Pippo Baudo tutta la vita.

Perchè il nazionalpopolare, come Pippo, nessuno mai. E la musica? Suvvia, a Sanremo, la musica, è pretesto.

A proposito del post della ‘povna, nei commenti, c’è quello, meraviglioso, di connie, di cui riporto uno stralcio:

sanremo l’ho seguito parallelamente alla juve, perché io sono proprio l’italiano medio, televisivamente parlando. E anche se non mi piace particolarmente, amo partecipare alle discussioni alla macchinetta del caffè e così mi aggiorno!

Ecco, col consueto dono della sintesi, ha condensato ciò che per me è Sanremo. Il monumento alla mia medietà. E l’orgogliosa rivendicazione della medesima.

Non so perchè faccio il lavoro che faccio. Per molti aspetti, mi è caduto sui piedi ad un certo punto del cammino. Ho cominciato e poi sono andata avanti. A ben pensarci, coincide pochissimo col mio carattere. Per chi, come me, tende alla solitudine, fare un lavoro che obbliga quotidianamente all’interazione è una sfida. Pure, questa sfida quotidiana, mi ha aiutata a ridefinire in parte il mio carattere, a limarne certe asprezze, a contestualizzare moltissimo.

Soprattutto, mi ha insegnato ad ascoltare tutti, senza preclusioni. E a comprendere l’errore di fondo di molta sinistra, quella gauche caviar che tende a considerare sempliciotti necessitanti rieducazione tutti quelli che non sono come loro. E che perde, invariabilmente, da secoli, perchè, diciamocelo, a nessuno piace essere considerato un coglione e quindi, alla resa dei conti, ti mancano quei voti lì, quelli della medietà. Quelli che magari ti avrebbero votato se tu non li avessi guardati con l’aria disgustata di chi ha appena pestato una merda.

Questa non è un’analisi politica, anche se lambisce la politica. Questa è, al massimo, entomologia sociale.

L’antipatia di un D’Alema, ma anche di una Boldrini, per citare due casi, non nasce necessariamente dall’avversione per ciò che dicono, ma dal come lo dicono. E da quel senso di superiorità che fa passare la voglia di votarli a te che, li voti di default, immaginiamoci agli altri.

La medietà è quella cosa che ti consente di essere a tuo agio, ed empatico, con chiunque.

Davanti a scuola, in un consiglio di amministrazione, con un gruppo di intellettuali.

La medietà è quella cosa, meravigliosa, che ti permette di dire: ‘non si sa mai’. Perchè la vità è meno prevedibile di quel che pensano certuni: e se la probabilità ci dice che parleremo di chi l’ha visto davanti a scuola aspettando i figli, di economia in un consiglio di amministrazione e di letteratura francese con un gruppo di intellettuali, può anche accadere (ed è accaduto) di parlare di letteratura davanti a scuola, di chi l’ha visto ad un consiglio di amministrazione e di economia con dei letterati. Non c’è alto o basso, c’è la vita che si mischia.

Sanremo, i mondiali di calcio, le olimpiadi, il matrimonio di clooney e tutto il resto del cucuzzaro, quelle cose così, che fanno arricciare il naso, sono in realtà quel ponte che ci permette di restare in contatto con tutti.

E come noto, i ponti uniscono. Proprio per questo nella testata del blog c’è sempre un ponte che campeggia.

E a proposito di entomologia sociale. Se c’è un auspicio che qui si trae dalla vittoria degli Stadio, è proprio la fine del concetto di rottamazione. Dopo l’innamoramento collettivo del giovane a tutti i costi, si è tornati al ciò che piace o non piace, indipendentemente dall’anagrafe.

Sanremo ha cantato, e con Sanremo tutta la Riviera.

Che coss’é l’amor, chiedilo al vento

Che gli aerei siano come un corso di entomologia sociale, non è novità. Ma oggi no. Oggi era diverso.

Avevo tutto. Ma proprio tutto. Il reader, la playlist con le Canzoni della manovella di Vinicio, il posto F, quello accanto al finestrino. Quello che mi permette di vedere le luci diventare puntini indistinti. Una felicità bambina.
Cantava Vecchioni che “basta anche un niente per esser felici”. Quel niente, lì e in quel momento, c’era.

Il resto, la macchina da affittare, l’hotel da trovare, la cena da inventare, erano solo un inutile rumore di fondo cui avrei pensato all’arrivo.

Poi. Poi è salita lei. Troppi anni e troppo botox. L’aria schifata di quella cui un piccione ha appena cagato su un piede. Lo sguardo sconcertato di chi, per la prima volta, mette piede su un volo low cost e scopre che non tutti vestono Gucci, profumano Chanel, e portano ai piedi Manolo Blanik. 

Guarda con insistenza lo steward convinta che le metterà il bagaglio nella cappelliera. Convinzione errata. 

Poi. Poi arriva lui. Molto giovane. Piuttosto belloccio. Espressivo come una credenza. Potrebbe essere suo figlio, ma si intuisce subito che il loro non è un rapporto genitoriale. 

Non mi scandalizzo. Ci mancherebbe. Sono anni che vedo anziani signori scorrazzare per il mondo con giovinette che potrebbero essere non già le figlie, ma, direttamente le nipoti. 

E infine arriva l’altra. Una colombiana. Sui venticinque. Talmente bella da ammutolire tutti i presenti. Ammutolisce anche lui. Lei lo guarda. Lui la guarda. Poi lui prende la mano della sua assicurazione sulla vita, la bella si accomoda, e tu abbassi gli occhi sul reader e ti concentri sulle pagine e sul Vinicio. E pensi che davvero:

Cala la luna e io non spero, l’illusione è il lusso della gioventù  

Gli anni continuano

E così, è arrivata l’Epifania, che ha spazzato le feste, il cibo, la convivialità, i malanni di stagione.

Come già detto tante volte altrove, per me, l’anno inizia a settembre.

Pure, ad inizio gennaio, è tradizione formulare qui sul blog quella cosa che è un po’ motto, un po’ augurio, un po’ proposito, fate voi, che per me, alla fine, è sostanzialmente lo stesso.

Lo scorso, fu l’anno del ‘fare’. E tirate le somme di fine anno, per fare, si è onestamente fatto. si poteva fare di più? Ovviamente sì. D’altronde si può sempre fare di più, col senno del poi. Col senno del prima, magari, ti dici che invece è andata anche bene.

L’anno conclusosi è un anno che sarebbe scorretto non definire onesto. Anche nella sua cruda stronzitudine. Per dire, ci sono stato anche anni disonesti. Dove il discrimine, tra onestà e disonestà, sta nel tirare colpi sotto la cintura.

Il 2015, che pure di colpi ne ha menati parecchi, gli sia dato atto, ha sempre mirato sopra. poi, alcuni colpi si sono scansati, altri meno, ma questa è, banalmente, altra storia.

Il 2015 ha lasciato cose da salvare e cose da buttare.

Mi piace ricordare i giorni di #ioleggoperchè e pure quelli dei Presidenti, se penso al blog e a quel che gli gira intorno.

Nel privato, invece, un grazie alla famiglia, agli amici pochi ma buoni, alle ragazze che, quando c’è bisogno, non fanno mai un passo indietro.

Professionalmente, salvo alcuni frammenti, certi rapporti umani, e un’aumentata consapevolezza mia, su.

E quest’anno? Già quest’anno è bisesto, e a iome, che è pure blandamente superstiziosa, la bisestitudine, mette sempre un po’ di ansia. Per quanto, per dire, il fato, i colpi bassi, li ha tirati pure negli anni dispari.

Poi, le previsioni meteo non annunciano cieli stabili. Ma è la vita. Che, come si dice da queste parti, ‘l’è un po’ storta e un po’ drita’.

Quindi quest’anno, dati cause e pretesto (cit.), direi che ‘rimpianti sì, ma in ogni caso nessun rimorso’ possa ben configurarsi come mood dell’anno.

Il resto è una sceneggiatura che toccherà scrivere. E ci aggiorneremo cammin facendo.

A very Merry Christmas

Auguri.

Auguri a chi ci crede, a chi non ci crede, a chi ci credeva una volta, a chi non ci crederà mai più

Auguri a chi farà l’amore, a chi non lo fa più, a chi lo farebbe ma non può, a chi potrebbe, ma non lo fa.

Auguri a chi se la racconta, a chi se la é raccontata, a chi se la racconterebbe ma si è rotto i coglioni, a chi i coglioni se li romperebbe se non se la raccontasse.

Auguri a chi si innamora sempre, a chi non si innamora mai, a chi si innamorerebbe ma è troppa fatica, a chi faticherebbe volentieri.

Auguri a chi è arrossito per l’emozione, a chi non si emoziona più, a chi darebbe tutto per emozionarsi ancora.

Auguri a tutti voi, che siete passati, che avete letto, che avete riso, che avete scosso la testa, che avreste voluto lasciare un commento, che non l’avete lasciato perché vi vergognavate.

Che Babbo Natale, Santa Claus, il Bambinello o chi per loro vi porti in dono tanta serenità, bene prezioso ed irreperibile in commercio.

Buon Natale, a tutti

Vivere… e sorridere dei guai

Vivere è un mestiere pericoloso.

Se mangi carne, soprattutto se rossa, peggio ancora se alla griglia, rischi un cancro del colon-retto.

Se fumi, sei un serio candidato al cancro del polmone.

Se bevi alcolici, o, Dio non voglia,superalcolici, c’è in agguato per te un tumore al fegato, o al pancreas.

Se sei sessualmente promiscuo, oppure stai con qualcuno sessualmente promiscuo, nella migliore delle ipotesi ti prendi una malattia venerea, se ti va così così il papilloma virus (e quindi hai discrete probabilità che ti venga un tumore al collo dell’utero), se ti va di sfiga secca diventi HIV positivo.

In tutti i citati casi, hai ovviamente una corsia preferenziale per l’infarto e il diabete.

Se non fai nessuna di queste cose, probabilmente camperai cent’anni, che ti saranno sembrati duecento dai due coglioni che ti sarai fatto, sempre e quando la genetica non ti abbia fatto lo sgambetto, e tu sia crepato comunque, alla faccia delle statistiche OMS, oppure sia rincoglionito dall’Alzheimer, che a me, si metta in chiaro, fa più paura di tutte le prospettive precedenti messe insieme.

Ora. Qui non si incita al consumo di carne, alcolici, zuccheri, sigarette a pioggia, che la morigeratezza è sempre una buona misura. Mentre sul trombare, fate un po’ quel che vi cale. Comunque se potete, non vi risparmiate, che meglio troppo che troppo poco, in questi casi.

Detto questo, vorrei sapere, cui prodest? A chi giova tutto ciò? Non che io sia perennemente dietrologa. Non credo alle scie chimiche, ai complotti, alle teorie arzigogolate. Ma credo poco anche all’OMS, un’organizzazione che non fa niente per niente.

Sono gli stessi che hanno convinto tutti che saremmo schiattati a breve di Ebola. Nel frattempo Ebola, come prevedibile, ha continuato ad imperversare in Africa, e sono stati spesi un sacco di soldi per fantomatici vaccini per proteggere l’Occidente.

Lo stesso accadde, prima, per aviaria e suina. Un sacco di animali ammazzati. Un sacco di soldi spesi per vaccini rivelatisi inutili e mai inoculati ad anima viva. Nel frattempo, nella maggior parte del mondo, non hai bisogno di prenderti l’aviaria, la suina e l’ebola. Per crepare è più che sufficiente una banale cagarella.

Si noti altresì che pur crepando per colpa della qualunque, dalle voci di elementi nocivi è scomparso e quasi mai apparso, lo stress. Che, si sa, lavorare dieci ore al giorno, sotto un bombardamente neuronale continuo, perennementi connessi, interlacciati, ansiati e talvolta mobbati, e convivere con un senso continuo di incertezza nei confronti del futuro, è roba che fa bene alla pelle e al cuore.

E comunque, se nasci, muori. Tutto il resto, è vita.

Scrivimi, servirà a sentirti meno fragile

Gentile sceneggiatore,

lei non mi è antipatico, per carità. Le sono anche grata per il molto tempo che mi dedica. Qualche volta, insieme, ci siamo divertiti pure, in questi anni.

E sono senza meno convinta che le sue giornate siano lunghe e dense quanto le mie. Ed anche che sceneggiare la mia esistenza sia un lavoro faticoso, talvolta frustrante.

Per cui, voglia credermi, quando le suggerisco di prendersi un po’ di riposo, lo dico con un affetto figlio dei tanti anni trascorsi insieme.

Forse lei non lo sa, ma dieci goccine, a volte fanno miracoli. Le prende già? Ah, ecco. Non lo sapevo. Allora aumenti. Male non faranno. Soprattutto, si dia una calmata, che gli anni passano e né io, né lei siamo più quelli di una volta.

Insomma, si spenga un attimo, prima che la venga a cercare e la prenda a martellate.

Con l’affetto di sempre,

iome

Confusi in un playback

E si consumano le scarpe da pallone, dentro la polvere

E sei lì, e ti senti un panchinaro. E ti piace pure, la tua vita da panchinaro di lusso che si vede scorrere davanti i campi di serie A, ogni tanto calpesta l’erba, respira il profumo ma non si sporca le mani con le cose della vita (quelle che facevano piangere i poeti).

E i più grandi si prendono il campo, tutto per sé

E siccome il campo, quello vero, non l’hai calpestato mai, non capisci perchè a loro piaccia così tanto essere irremovibili titolari. Salvo poi scoprire, quando tocca a te, che uscire dal campo, un attimo prima dello scadere è sofferenza pura.

E li guardi andare via, mentre fantastichi su di te

Ma la realtà non è mai come te la immagini. E forse è giusto così. E forse è bene così. Altrimenti, sai che noia. E ad un certo punto saltano tutti gli schemi. E non funziona più nemmeno il catenaccio. e capisci che il fantasista è importante, ma anche un buon mediano serve, e un difensore d’ordine e disciplina. E uno che sappia parare. Capisci che serve una squadra, persino tu lo capisci, tu che hai sempre pensato che tre persone sono già una folla.

E il cuore batte alla rinfusa, che serietà, nella fretta di portare pantaloni lunghi e personalità.

E capire che dopo un po’ l’abito serve anche lui a fare il monaco, ma se i pantaloni lunghi li puoi comprare al negozio all’angolo, la personalità non la vendono al mercato. Ma a differenza del coraggio di Don Abbondio, che se uno non ce l’ha non se lo può dare, la personalità si costruisce. E capisci anche che una sconfitta aiuta a costruire la personalità più di cento vittorie.

E ognuno lascia un segno sulle persone più sensibili

E conti le molte persone che hanno lasciato un segno, finché un giorno qualcuno comincia a dirti che il segno alla tua maniera lo stai lasciando anche tu.

E allora capisci che

all’insaputa di chi dimentica che c’è un niente che modifica il presente,

tu ormai, almeno quello l’hai capito. E sei sempre lì, in attesa di quel minuscolo battito di ciglia che, solo, è in grado di modificare lo scenario.

E avresti davvero anche tu voglia di confonderti, per un giorno o per un’ora, in un playback

Otto e venti, prima campana

Davanti alla scuola, tanta gente, otto e venti, prima campana

E la sigaretta, beh, quella l’hanno spenta i genitori, almeno per adesso. Prima di entrare in palestra. Più agitati di voi. Troppo presi voi a guardarvi intorno, entusiasti. Troppo presi noi a guardarci dentro, coscienti del fatto che il futuro, il vostro, è cominciato.

E migliaia, di gambe e di occhiali di corsa sulle scale

Beh, di corsa. Per quello che consentono quelle gambette corte, sperdute nei grembiulini neri e blu. Sommersi da quegli zaini, più grandi di voi. Coi supereroi e le principesse. In attesa di sedervi nel vostro primo banco. E mamma non può fare a meno di notare che hai scelto stessa fila, lato e posizione del suo banco del liceo. Troppo tempo fa, a pensarci adesso.

Le otto e mezza tutti in piedi il presidente, la croce e il professore

E davvero, quella è l’unica cosa che non cambia mai, salvo il fatto che voi eravate seduti. Le maestre. La croce sopra la cattedra. La foto del Presidente. Il senso dell’eterno. Voi non lo sapete. Ma mamma e papà se ne rassicurano a sapere che certe cose non cambiano mai.

Che ti legge sempre la stessa storia sullo stesso libro, nello stesso modo, con le stesse parole da quarant’anni di onesta professione

Come ha sintetizzato tuo padre: ‘Inizia oggi e ne avrà per vent’anni’. Detta così, pare il risultato di un processo per direttissima. Ti possiamo solo augurare che sia un percorso e non una condanna. E di incontrare belle persone sulla tua strada (micabuone, eh, belle, che la bontà, quella, è sopravvalutata, e pure abbastanza inutile, se non si ha altro da aggiungere),

Ti auguro di incontrare sul tuo cammino le ‘povne, le rocere‘, le ellegio, le noisette e tante altre che bazzicano qui. Ma so che non sarà necessariamente così. Troverai quelli che ripetono davvero le stesse cose da quarant’anni, senza metterci un minimo di poesia. Quelli che tireranno a campare. Quelli che rovesceranno su di voi i loro casi personali e le loro frustrazioni. Puoi viverli come una jattura o come un’opportunità. Perchè anche capire cosa NON si vuole diventare è gran risorsa nella vita.

E il tuo impegno che cresceva sempre più forte in te…

Ecco, in fondo il fulcro di tutto è qui. Nell’impegno. Impegnati sempre. Non per eccellere. Non per soddisfare sogni ed ambizioni di mamma e papà. La nostra vita noi l’abbiamo fatta. Se non è stata esattamente come l’avevamo sognata è un problema nostro, al limite. Certo, non tuo. Però impegnati. Questo sì. Al massimo del tuo potenziale. Quale che esso sia. Perchè sprecare ciò che abbiamo, sia esso tanto o poco, è forse uno dei pochi, veri, delitti.

Impegnati. E sii curiosa. E resta fedele a te stessa.

Non ti diciamo sii felice. Te lo auguriamo perchè ti amiamo, ma abbiamo imparato da tempo che la felicità è un istante breve, non uno stato permanente. Sii serena. Sii compiuta. Vivi la vita, ama allo spasimo, senza timore di soffrire. La sofferenza è il prezzo che paghiamo all’essere vivi.

Buon viaggio, tesoro.

Those were the days, my friend

Sono giorni così. Con molto da dire, e, pure, senza le parole per dirlo. E con troppo rispetto per voi, ma anche e soprattutto per me, per dirlo male.

Sono giorni di stanchezza immensa, tanta da non riuscire mica più a gestirla, ma anche di cose che non sono solo difficili da dire, ma che, soprattutto, non pertengono al blog, e che hanno bisogno di narratari diversi, per dirla con la ‘povna. E fors’anche di nessun narratario. Che poi alla fine avevano ragione Gabo e Aureliano Secondo: ‘Non può piovere tutta la vita’, ma quando piove occorre attendere che spiova, ed è un processo ed ha i suoi tempi.

È stato un anno lungo. E pieno. Di cose, rumori, umori, persone, esperienze. Di amicizie nuove, forti, inattese, lontane geograficamente e nel contempo vicine nel sentire, nel vivere, nel crederci. E in certe fasi della vita, certe cose fanno pure più piacere, perché comprendi meglio quanto valgano.

E anche di lavoro, fatica, adrenalina, emotività. Della presa d’atto che questi ultimi lunghissimi tre anni hanno fatto di me una persona ed un professionista diversa. Non necessariamente migliore, ma complessivamente più adulta, e per dirla sempre con la ‘povna, ma pure con la spersa, parecchio più risolta.

Perché come ti risolvono certi frangenti, manco secoli di psicoterapia. E verrebbe da aggiungere che i nostri genitori erano assai più risolti di noi, perché di frangenti ne ebbero altrettanti e pure prima.

E, per restare su Marquez, forse l’essenza è davvero solo quella: ‘Vivere per raccontarla’. E forse questa dovrebbe essere la nuova frontiera e la nuova sfida di queste pagine. Raccontarla questa realtà che certi giorni pare un film di Almodovar diretto da Monicelli. Una cosa che a te sembra di stare sotto acidi. E poi ti accorgi che invece sta accadendo davvero. 

 

Io non ti conosco, io non so chi sei

Essendo l’utente feisbuc meno affidabile sulla faccia della terra, non mi sono mai posta troppo interrogativi sulla faccenda.

Ma un certo numero di notti insonni, e una discreta propensione per i cazzi altrui mi hanno fatto frequentare la piazza virtuale, ultimamente.

Da questa frequentazione discendono una constatazione ed un corollario alla medesima.

Constatazione.

Devo sfoltire i miei contatti. Che quei compagni delle medie, quegli amichetti di infanzia ricordi di lontane estati in campagna, si sono trasformati in discrete teste di cazzo. E ho già sufficienti motivi di afflizione quotidiana non removibili per aggiungere ad essi pubblicatori seriali di:

– gattini, animaletti e cagate varie possibilmente in formato video per fastidiare di più

– storie da brivido che si capisce che son false come monete da cinque euro già dal titolo

– commenti razzisti assortiti

I peggiori son quelli che unificano le tre categorie e prima lacrimano per il gattino inerme, il canino abbandonato e via discorrendo. E poi inneggiano all’affondamento del barcone, possibilmente con infanti a bordo. Che tu annichilisci e vorresti pure insultarlo. Poi ti rendi conto che è tempo buttato. La vita è troppo breve per sprecarla a redimere inutilmente teste di cazzo. E comunque quel fiato ti servirà, assai più opportunamente, il giorno in cui starai per rendere l’anima.

Sfoltire i contatti, oltre ad essere più semplice, risponde ad un concetto di igiene sociale che si dovrebbe praticare più spesso.

Corollario.

Il sig. Feisbuc ogni tanto suggerisce le persone che potresti conoscere. Essendo un’intelligenza artificiale usa due artifizi abbastanza banali. Spulcia tra i tuoi contatti nello smartphone oppure tra gli amici comuni.

Chiaro è che se di qualcuno hai il numero telefono dell’ufficio, il numero di cellulare e quello dell’amante per le emergenze, è chiaro che non è che potresti conoscerlo. Lo conosci proprio.

Altresì è evidente che se con un tizio hai in comune 27 amici, le probabilità che vi siate conosciuti sono ben più che discrete e vanno oltre il concetto del ‘potresti conoscerlo’.

Pertanto egregio Sig. Faccialibro, se finora io e tizio amici non lo siamo diventati, delle due l’una. Non ci conosciamo. E siamo nel campo della fantascienza. Oppure ci conosciamo, ma ci stiamo serenamente e reciprocamente sul cazzo. E i contatti che abbiamo ci sembrano già sufficienti per questa vita e la prossima.